TORINO – Dopo la sconfitta alle comunali di Torino il sindaco uscente Piero Fassino rivolge un appello a Matteo Renzi: “Ascolti di più chi fatica e affidi il partito ad un suo vice”. Un appello, quello a smettere di voler ricoprire sia i panni del premier sia quelli del segretario, già rivolto al presidente del Consiglio da alcuni esponenti del Pd all’indomani del flop alle amministrative.
L’ex sindaco di Torino rivendica di aver “buttato sangue” per la città: “Si parla tanto di meritocrazia, ma nel mio caso è stata negata”, ha detto intervistato da Sebastiano Messina di Repubblica.
Fassino si dice preoccupato:
“Non per me, ma per la città. Cinquestelle ha vinto con una sequenza di no. Ma che progetto ha per Torino? Non lo vedo. E la città rischia di tornare indietro. Avevo capito sin dal primo turno che il ballottaggio sarebbe stato difficile. Perché essendoci 27 elettori su 100, quasi tutti di centro-destra, che avevano per le mani un voto libero, per loro era un’occasione molto ghiotta per estromettere il centrosinistra che ha governato la città dal 1993. Ho fatto il possibile per evitarlo. Al primo turno abbiamo ottenuto la percentuale più alta di una grande città. Poi, certo, se il 95 per cento degli elettori di destra al ballottaggio vota per Cinquestelle, l’esito è scontato”.
E a Messina che fa notare come la sconfitta di Roma fosse stata messa nel conto, dal Pd, ma non quella di Torino, Fassino risponde:
“Perché è giudizio unanime che questa città è stata governata bene. Anche se io, a tutti quelli che mi dicevano “lei non avrà problemi” rispondevo: “Non è vero, perché soffia un vento che non tiene conto di come si è governato”. Le racconterò un aneddoto illuminante. Domenica esco dal seggio, entro in un caffè e una signora mi ferma: “Sindaco, volevo ringraziarla per tutto quello che ha fatto. Grazie a lei Torino è diventata una città bellissima, piena di cose”. Mi aspettavo che concludesse: e quindi l’ho votata. Macché. “Io ho votato la Appendino” mi ha detto. Ma perché? “Perché è bene cambiare”. Quando una ti dice così, cose vuoi ribattere?”.
Ha pesato di più la voglia di dare uno schiaffo a Renzi o quella di votare contro la giunta Fassino?
“Onestamente, io penso che il sentimento contro la giunta Fassino abbia pesato poco. L’Unione europea dice che Torino è la seconda città del continente per l’innovazione. E poi, nonostante la spending review, noi abbiamo garantito tutti i servizi a una città che su tutti i fronti, dall’infanzia agli anziani, ha standard più alti della media nazionale. Ogni anno abbiamo aiutato 25 mila famiglie. E io non so in quante altre città italiane si è chiuso un campo rom di 800 persone, non con le ruspe ma ricollocandole tutte in situazioni abitative diverse o con il rimpatrio assistito: a uno che voleva fare il contadino in Romania abbiamo comprato persino le caprette…”.Dopo 23 anni di amministrazioni di centrosinistra c’era una parte della città che si sentiva esclusa.
“Io non so cosa voglia dire esclusa. Io in cinque anni non ho fatto una sola nomina che fosse figlia della lottizzazione politica. Le persone sono state prese sulla base di curriculum, competenza ed esperienza. Potrei fare i nomi, uno per uno”.Quindi non c’era un sistema di potere del Pd?
“Assoutamente no”.C’è un errore che non rifarebbe, col senno del poi?
“E’ un esercizio che non mi appassiona. Io ho speso ogni energia per questa città. Sedici ore al giorno ogni settimana, ogni mese, ogni anno. Ho buttato il sangue. Ho dato tutto quello che potevo e sapevo. (…) “.Lei pensa di essere stato travolto da un vento anti-renziano?
“Da un vento anti-politica sicuramente. E questo vento, in tutta Europa, penalizza chi sta al governo, locale o nazionale”.Renzi l’ha chiamata, dopo il risultato?
“Certo, ci siamo sentiti più volte. Abbiamo fatto una riflessione sul cambiamento del sistema da bipolare a tripolare che innesca dinamiche nuove. Perché se nel ballottaggio il secondo e il terzo si coalizzano, anche senza dichiararlo, il primo soccombe”.Questo consiglia un ripensamento sul ballottaggio, che è il cuore dell’Italicum?
“E’ una riflessione da fare”.Ma lei che è stato il segretario dei Ds, e uno dei fondatori del Pd, quale consiglio darebbe oggi a Renzi?
“Non gli consiglierei certo di ridurre la forte tensione all’innovazione che lo spinge, perché l’Italia ha bisogno di un grande cambiamento. Però ci vuole anche una maggiore attenzione a quella sofferenza sociale che nella società c’è. Quando tu hai un pensionato che ha 400 euro al mese, un reddito con cui già non si può vivere, e deve mantenere pure un figlio disoccupato di quaranta o cinquant’anni, devi dargli una risposta. Altrimenti quello va da Grillo”.Nel Pd c’è chi chiede a Renzi di lasciare ad altri la segreteria. Lei è d’accordo?
“In Europa la guida del governo coincide quasi sempre con quella del partito. Poi, se uno guarda al modello più sperimentato, quello tedesco, vede che c’è un leader – il cancelliere – e poi c’è una figura forte, il numero due del partito a cui è affidata la gestione. Mi sembra un modello ragionevole, è quello dell’Spd. Detto questo, non è il modello organizzativo che risolve i problemi”.