Pioggia a Roma, “l’apocalisse che non c’è, qui pure il diluvio è na sòla”

Pioggia a Roma

ROMA – Apocalisse a Roma doveva essere e apocalisse alla fine non è stata. Per un giorno intero Roma si è fermata in attesa della pioggia che non c’è, strade vuote, trasporti a singhiozzo e un clima, quello cittadino, davvero surreale. “Eventi estremi e allarme pioggia” avevano detto, ma niente poche gocce sparse e niente allagamenti. “Limitate gli spostamenti”, avevano allarmato. Il Giornale, in un articolo di Massimiliano Parente, racconta la cronaca di una giornata surreale:

Mi hanno chiamato perfi­no i miei genitori in gita a Berlino, per sapere co­me stavo, se ero ancora vivo. «Tra poco viene er nubifragio» si senti­va per le strade, e in giro non c’era nessuno, sembrava l’inizio di un film di Emmerich, quando sta per succedere il cataclisma. A diffe­renza della neve dello scorso in­verno, quando le signore sono uscite in tacchi a spillo e con la Smart pur con l’obbligo di catene, stavolta i romani ci hanno credu­to, sarà per la suggestione biblica di un diluvio universale a Roma, sarà perché già basta una piogge­rella per trasformare gli scoli e i marciapiedi in fiumi, figuriamoci un diluvio annunciato, sarà quel che sarà. Io sono cascato dalle nuvole che non c’erano, il cielo era sere­no e non avevo seguito i notiziari, il meteo lo salto sempre come l’economia e la cronaca nera e la politica, quindi finisco per saltare praticamente tutto, ma che Roma stesse per essere spazzata via co­me Fukushima l’ho appreso da Uno Mattina . Non perché stessi vedendo Uno Mattina ma perché quelli di Uno Mattina mi hanno te­lefonato per chiedermi se andavo a parlare del maltempo, e sono ri­masto un po’ interdetto, ho pensa­to a un e­rrore e che volessero chia­mare il colonello Giuliacci o come si chiama. Tuttavia è grazie a Uno Mattina che mi sono guardato in­torno e mi sono accorto che c’era qualcosa di strano, poche macchi­ne e un traffico ordinato, civile: ero a Roma ma sembrava Milano.

Ho controllato l’iPhone e in effetti prevedeva pioggia al 70%,e io del­l’iPhone mi fido ciecamente, se l’iPhone dice che piove io apro l’ombrello anche se c’è il sole. Non era male osservare l’ansia che cresceva nell’attesa del dilu­vio, e di ora in ora l’evento si ingi­gantiva, stava per abbattersi uno tsunami, un tornado, Katrina, for­se stava per arrivare Godzilla, e una signora in un bar giurava che dalle parti di Ponte Milvio fosse già tutto allagato, con le persone intrappolate nei sottopassaggi, per via der nubifragio. «Ma che sta’ a ddi’,a Ponte Milvio ce lavora mi’ fija, Alemanno vuole fa’ vede’ che stavolta è previdente, ce stan­no a prende per i fondelli…». Ecco,i bar di Roma sono il mas­sim­o dell’allarmismo e dello scet­ticismo, nei bar succede tutto e non succede mai niente, l’impor­tante è dare a vedere di saperla più lunga degli altri, come in ogni bar del mondo ma per i discorsi da bar Roma è ancora caput mundi. Per cui sarà la noia, sarà la crisi economica, sarà quel che sarà ma c’era un certo friccicore nell’aria, il giorno del diluvio universale, una certa allegria pur tirando den­tro tavolini e ombrelloni, con sfog­gio di paralleli cinematografici perfino da chi non te lo saresti mai aspettato, indicando le nuvola­glie nere in avvicinamento: «Pare l’astronave di Indipendendèi».

E un altro: «Pare gli uccelli de Ic­cìcok ». E rincasando a passetti ve­loci, non come quando fuori pio­ve ma come quando in casa c’è la partita. Molti incidenti di percorso per andare al lavoro, questa volta per assenza di incidenti, perché a Ro­ma si lamentano tutti per il traffi­co, tutti nevrotici per le corsie d’emergenza che non funziona­no e la metropolitana che fa schifo e questa tangenziale che più fan­no i lavori e più si intasa, e in ogni caso ogni mattina ci mettono tutti ore per arrivare in ufficio, tra un cornuto e l’altro. Invece il giorno del diluvio universale erano tutti nevrotici perché non hanno pre­so la macchina, hanno preso in mezzi pubblici, e sono arrivati puntuali, qualcuno addirittura in anticipo. I tassisti scazzatissimi nelle piazze come belve rassegna­te, nel diluvio ci speravano per­ché con la crisi, dicono, lavorano meno.

Ci speravano anche i vendi­tori di ombrellini che stavolta ne avevano di enormi, io ne ho com­prato uno a dieci euro perché era uguale all’ombrellone nero che usava Michael Jackson per ripa­rarsi dal sole, se poi mi beccava il diluvio tanto meglio. Insomma, alla fine er nubifra­gio non c’è stato, neppure una tempestina, niente, come il deser­to dei Tartari di Buzzati, come la poesia dei barbari di Konstanti­nos Kavafis, cioè «tutto ’sto allar­mismo pe’ du gocce ».Quindi l’in­domani si finisce a parlare del dilu­vio mancato con malcelata delu­sione e molta recriminazione, in­dividuando subito il capro espia­torio, il colpevole, lo sprovvedu­to: il sindaco Alemanno. Imme­diata­mente immortalato su Face­book in un fotomontaggio tristissi­mo, mentre vende ombrelli, con la scritta: «Alemanno è pronto per il diluvio». In Italia è così ma a Ro­ma di più: alla prima spruzzatina di neve l’inverno scorso il sindaco aveva sottovalutato l’allarme e gli si è rimproverato di non tenere i gatti della neve e gli spalatori a por­ta­ta di mano nei garage dei Campi­doglio; dopo un anno Alemanno promette il diluvio universale e neppure una pioggerellina, li mor­tacci sua.

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