Prato, incendio in fabbrica; Alfano-Renzi; serie A: rassegna stampa del 2 dicembre

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Dicembre 2013 - 08:29 OLTRE 6 MESI FA
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La prima pagina di Repubblica del 2 dicembre

ROMA – “Renzi così tira troppo la corda se vuol far cadere Letta lo dica non abbiamo paura del voto”. L’articolo di Claudio Tito su Repubblica:

“C’è un dato che resta strutturale e che Renzi non deve dimenticare: noi siamo determinanti. Era così 15 giorni fa e lo è anche adesso. Quindi chiediamo un contratto di governo, Italia 2014, per dire senza giri di parole che deve durare un anno e che deve contenere alcune questioni ineludibili. Senza le quali non firmeremo il contratto”.

Scusi, ma anche il Pd è abbastanza determinante.

«E infatti hanno il presidente del consiglio. Ricordo che Letta era il loro vicesegretario. Non è della nostra parte. Sul Pd incombono grandi onori ma anche grandi oneri. Se qualcuno non vuole assumersi il peso di guidare questa coalizione, lo dica. Il nuovo segretario democratico avrà il potere di far cadere il presidente del consiglio del proprio partito, il suo presidente del consiglio. Se vuole esercitare questo potere, lo dica agli italiani chiedendo il voto con questa legge elettorale».

Tutti i candidati alla segreteria Pd, in realtà, ritengono che questo esecutivo, nonostante i numeri, sia stato condizionato più dal Pdl che dal Pd.

«Noi abbiamo avuto il merito di individuare obiettivi chiari e percepibili come la cancellazione dell’Imu. Anche il Pd ha centrato i suoi obiettivi ma lo ha fatto sempre con un borbottio che ha impedito ai suoi elettori di accorgersi dei risultati conseguiti ».

Tornando al contratto di governo, quali sono i vostri punti irrinunciabili?

«La parola chiave sarà lavoro: aumentare il numero degli occupati e dare una speranza ai nostri ragazzi. Tutto deve ruotare attorno al lavoro: tagli robusti alla spesa pubblica improduttiva, riforma elettorale, fine del bicameralismo perfetto, detassazione per le imprese, determinazione del salario di produttività. Abbiamo appena visto il metodo tedesco. Il patto tra Cdu e Spd, sebbene alla Merkel mancassero solo 5 deputati, è circostanziato. Noi vogliamo scrivere mese per mese gli obiettivi da raggiungere ».

Molti di questi punti sembrano compatibili con quelli indicati da Renzi.

«Lo vedremo. Larghe intese devono diventare chiare intese. Sapendo che questa amicizia non sarà troppo lunga. Vedremo se il futuro segretario del Pd vorrà iscriversi al partito della crisi e a quello delle elezioni con il Porcellum».

Ma avete i numeri per approvare un programma così ampio?

«Abbiamo i voti che il governo Berlusconi ha avuto al momento della fiducia nel 2008. Facciamo quel che dobbiamo fare e torniamo al voto nel 2015».

Prato, la strage dei cinesi schiavi morti nella fabbrica dormitorio “In trappola per un euro l’ora”. L’articolo di Michele Bocci su Repubblica:

Sono morti come topi in trappola nel capannone-casa, dove lavoravano, mangiavano, dormivano. Sono morti per 15 euro al giorno, circa un euro all’ora. L’incendio li ha sorpresi all’alba, ha fatto crollare il soppalco dove erano state ricavate alcune camere da letto, loculi di 2 metri per 2. Chi non è stato intossicato dal fumo, aggredito dalle fiamme o travolto dalla struttura venuta giù, ha trovato le finestre sbarrate ed è rimasto bloccato dentro, ad aspettare la fine. Prato, via Toscana, le 7 di ieri mattina. Anche il nome della zona mette tristezza: Macrolotto 1. Una serie infinita di capannoni industriali dove migliaia di piccole aziende si occupano prevalentemente di confezioni e pronto moda.

“Fast fashion” la chiamano, e vuol dire corsa contro il tempo per rispondere agli ordini in arrivo da tutta Europa nel giro di poche ore. Ormai le imprese sono quasi tutte in mano a imprenditori cinesi, anche se i loro nomi rimandano all’Italia. Dentro una di queste, “Teresa moda”, ieri hanno perso la vita 7 persone. In 200 metri quadrati lo stesso drammatico bilancio della Thyssen, dove tra l’altro intervenne Vincenzo Bennardo, che ieri coordinava i soccorsi perché adesso comanda i vigili del fuoco di Prato. Una strage sul lavoro atipica e attesa. Atipica perchéle persone rimaste uccise erano a letto, non alle macchine per tagliare i tessuti o per cucirli. A quelle ci si sarebbero sedute più tardi, magari per concludere una consegna urgente. Attesa perché da tempo a Prato si discute della pericolosità dei capannoni dove gli immigrati restano anche a dormire e dove a metà del luglio scorso ci furono ben tre incendi, che solo per circostanze fortunate non provocarono vittime. I circa 100 controlli all’anno, che spesso portano alla chiusura delle attività, sono troppo pochi per avere costantemente il polso della situazione delle quasi 4 mila attività cinesi presenti nella provincia pratese nel settore dell’abbigliamento.

Dalla mattina di ieri è iniziato un silenzioso pellegrinaggio degli immigrati cinesi di fronte alla azienda andata in fiamme. Tanti sono rimasti per ore ad osservare i pompieri che tiravano fuori dal capannone le “pezze”, cioè i rotoli di tessuto, bruciate, i sacchi neri pieni di vestiti, gli stand per gli abiti, resti di scaffali. E poi gli oggetti dellevittime. Una rivista, una scarpa, una collana, la ruota di una bicicletta deformata, alcuni piatti frantumanti. Una piccola ruspa ha portato fuori resti fumanti a getto continuo e con il passare delle ore trovava anche cadaveri: il primo, poi un altro, poi altri due e così via. Fino a sette.

Pd pronto a votare il ritorno al Mattarellum. L’articolo di Giovanna Casadio su Repubblica:

Il Pd apre alla proposta anti Porcellum di Renzi. Forse perché è un sasso nello stagno, o perché la Consulta incombe con l’udienza di domani, ma stasera nella riunione della commissione Affari costituzionali del Senato potrebbe essere votato un documento di indirizzo che prende per buone alcune delle richieste renziane. Non una novità assoluta, il ritorno al Mattarellum, però corretto con il premio di maggioranza, a cui il sindaco di Firenze punta in nome della chiarezza, del bipolarismo e della governabilità. Per Renzi è l’asso che potrebbe cambiare la partita e soprattutto portare al gol, dal momento che si sposa con l’ordine del giorno in commissione del leghista Roberto Calderoli. In un pentimento ormai definitivo, il “padre” della legge “porcata” – fu lui a scriverla e poi a definirla così – ha messo nero su bianco una proposta simile. Anche Anna Finocchiaro, la presidente democratica della commissione, anti renziana, ha depositato a maggio un disegno di legge che è un Mattarellum corretto in senso maggioritario.

Renzi sostiene che ci potrebbe essere un’unica traccia ma tre diverse soluzioni, così da rendere possibile una maggioranza per la riforma. E annuncia tre proposte. È vero che una legge elettorale si giudica dai particolari – spiega il capogruppo del Pd in Senato, Luigi Zanda – però si può cominciare a lavorare in questa direzione. Lelinee-guida insomma potrebbero essere approvate subito, anche senza entrare nei tecnicismi. Infatti se si ripristinasse il Mattarellum, ovvero il modello di voto sulla base di collegi uninominali, e si confermasse una “torsione” in senso maggioritario di quel 25% (che il Mattarellum prevede come quota proporzionale), le soluzioni si trovano. Insieme con Scelta civica e con il Nuovo Centrodestra di Alfano e Quagliariello. Una ricetta «ardita» l’idea di Renzi, nel Pd attraversato dai malumori e diviso in tifoserie congressuali, però non disdegnata dai supporter dello sfidante alle primarie democratiche Pippo Civati. L’appoggia per esempio il senatore Corradino Mineo, che è in commissione Affari costituzionali: a patto che il residuo 25% in senso maggioritario sia assegnato con un doppio turno di collegio. «La legge Mattarella è una buona base – ragiona Mineo – bisogna però evitare le coalizioni-ammucchiata».

Supplemento Imu, dietrofront del governo. L’articolo di Mario Sensini sul Corriere della Sera:

Un pasticcio tecnico che sta diventando un problema politico, capace di far male a tutti i partiti che sostengono il governo. Un problema, per giunta, molto più grosso di quello che vale, perché cancellare la mini-Imu a carico dei cittadini non dovrebbe costare più di 200 milioni di euro. E che, arrivati a questo punto, si cercherà a tutti i costi di risolvere, anche se la soluzione non è affatto semplice. E rischia di essere più dolorosa del problema stesso.

Resta il fatto che nella maggioranza, come nel governo, sono ormai tutti convinti che la “mini-Imu” 2013 sulla prima casa debba essere evitata. È complicata da calcolare, e soprattutto antipatica da sopportare per i contribuenti, ai quali era stata promessa la cancellazione. In più è contestatissima dai sindaci, che si dicono traditi dal governo, e dove l’ala “renziana” del Pd, candidata a divenire azionista di maggioranza del partito, e presto dell’esecutivo, conta un gran numero di militanti.

L’unico che sembra un po’ restio a rimetter mano alla faccenda Imu è il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. La sua è una questione di principio, ma Saccomanni è un tecnico, e qui la questione è prettamente politica. A via XX settembre non si alzeranno le barricate, insomma.

Così, da oggi si comincerà a lavorare alla soluzione del caso. Tutt’altro che semplice. Far pagare la tassa il 16 gennaio e poi restituirla è una possibilità, ma non incontra molti sostenitori, anche perché rischia di rendere tutto più complicato. Di sicuro l’operazione non può essere fatta in deficit, perché a quel punto il Tesoro si opporrebbe. L’unica alternativa possibile, non certo meno complicata, è quella di trovare i circa duecento milioni di euro che servirebbero nei venti giorni che mancano alla fine dell’anno e alla chiusura dei conti pubblici, che restano sul filo del 3%, e sui quali è acceso il faro di Bruxelles.

Attacco a Napolitano e ai partiti V-Day, Grillo «salva» solo il Papa. L’articolo di Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera:

L’ironia, subito, tanto per esorcizzare eventuali guerre di numeri e scaldare la folla, spazzata dal vento gelido. «C’è un angolo vuoto di tre metri per tre in fondo alla piazza….», Beppe Grillo si presenta così sul palco sotto le Caravelle (una, a onor del vero, coperta dal logo del Movimento), nella “sua” Genova. E dà il via al terzo V-Day, il primo dall’ingresso del Movimento in Parlamento. Lo sguardo del leader è proiettato un po’ verso l’orizzonte delle Europee, un po’ alle polemiche politiche italiane. Cita Jonathan Swift, e lancia la «modesta proposta» in sette punti per ridefinire la nostra presenza in Europa: referendum sull’euro, alleanza per la creazione di un’area del Mediterraneo, sì agli eurobond, no al fiscal compact e al pareggio di bilancio.«Dobbiamo vincere e vinceremo», dice. Mostra grafici su Pil e debito pubblico dall’avvento dell’euro a oggi per rafforzare le sue tesi. Poi passa alla politica italiana — «i partiti non dobbiamo trattarli male, i politici sono vigliacchi, daremo loro l’estrema unzione» — attacca Letta sulla (mancata) riforma della legge elettorale e raccoglie un’ovazione dalla folla quando afferma: «È pronto l’impeachment per Napolitano. Rimarrai da solo, la tradirai da solo l’Italia». Una frase che scatena le reazioni trasversali del mondo politico. «Il delirio di un pazzo» per Fabrizio Cicchitto (Ncd), «un chiaro segno di debolezza» secondo Luigi Zanda (Pd).

Sul palco, però, Grillo è incontenibile. Arruola papa Francesco — «è un grillino» — e si accanisce contro le multinazionali: «Fanno i profitti con i licenziamenti, vi rendete conto?». Poi, il leader Cinque Stelle fa scorrere un lungo elenco delle aziende italiane finite in mani straniere. Grillo batte il tasto della piccola e media impresa, propone il ritorno dei dazi e respinge gli attacchi di chi indica il Movimento come improduttivo in Parlamento. Sulla stessa linea anche Gianroberto Casaleggio, che a Sky commenta: «Menzogne, stiamo parlando di una deformazione della realtà». Per lo stratega dei Cinque Stelle spazio sul palco, come era già accaduto a Roma per la chiusura dello Tsunami Tour. Casaleggio, che al pantheon pentastellato aggiunge una citazione di Marco Aurelio, attacca: «Sono orgoglioso di essere un populista e di essere insieme a decine di migliaia di populisti, il potere deve tornare al popolo, le persone nelle istituzioni devono servire il popolo. Stiamo cercando di introdurre nuovi strumenti di democrazia diretta, in Italia oggi non c’è neppure la democrazia».

Juve, fuga col brivido. L’articolo di Paolo Tomaselli sul Corriere della Sera:

Buffon tiene abbassata la sbarra per la sesta partita consecutiva e Llorente Express porta la Juventus avanti nella prima fuga: otto punti guadagnati in quattro partite sulla Roma lanciano la squadra di Conte a tre lunghezze di vantaggio sui giallorossi. E le possibilità, calendario alla mano, di arrivare allo scontro diretto dell’Epifania con un ulteriore vantaggio sulla seconda, sono più che concrete. Con tutte le conseguenze del caso in chiave scudetto.

Ma la Juventus non è una squadra che può fare troppi calcoli: appena alza un attimo il piede dall’acceleratore finisce imbottigliata nel traffico delle avversarie che la affrontano con undici uomini dietro la linea della palla. L’Udinese però ci mette anche qualità nel contropiede e va vicina tre volte al colpaccio, che nel complesso non sarebbe nemmeno stato demeritato.

La mossa decisiva per aprire il pacco confezionato con la solita sapienza artigianale da Guidolin è tutta di Conte, che invece di togliere uno dei suoi due attaccanti nel finale, aggiunge Quagliarella e con il 4-3-3 chiude l’Udinese nella sua metà campo. Trovando il gol da tre punti, che marcano la prima vera differenza con la Roma dopo il sorpasso della scorsa settimana: Marchisio fa partire un cross da sinistra, Llorente fa sponda di testa per l’accorrente Lichtsteiner (chi si rivede) che tira, colpendo la palla in modo strano, rimettendola sul testone biondo di Fernando. Gol, partita e prima fuga, nel momento giusto, quello psicologicamente più delicato per gli inseguitori.