Processo Ruby. Pm Fiorillo teste chiave. Pagò cara polemica con Maroni

Pubblicato il 3 Marzo 2013 - 16:59 OLTRE 6 MESI FA
nicole minetti

Nicole Minetti, un nuovo tatuaggio. A lei fu affidata Ruby, ma la sub affido a un’altra ragazza

Anna Maria Fiorillo, la Pm dei minori che quella fatidica per Berlusconi notte del 27 maggio 2010 che mise in movimento lo scandalo di Ruby rubacuori nipote di Mubarak, che alla fine portò allo spread alle stelle e Berlusconi fuori di palazzo Chigi, siederà lunedì 4 marzo sulla sedia dei testimoni davanti al Tribunale di Milano.

Berlusconi è imputato di prostituzione minorile e concussioneFiorillo è considerata la teste-chiave anche se né l’accusa né la difesa l’hanno mai citata: da una parte c’è la sua ricostruzione dei fatti, dall’altra quella della Questura. Per aver smentito le parole dell’ex ministro Roberto Maroni, Anna Maria Fiorillo è  finita sotto procedimento disciplinare davanti al Csm, l’organo di autogoverno e disciplina dei magistrati italiani. Dopo la sua deposizione, partirà la requisitoria del pubblico ministero.

La vicenda è ricostruita da Donatella Stasio sul Sole 24 Ore. Tutto ebbe inizio, ricorda Donatella Stasio, quella notte del 27 maggio quando Anna Maria Fiorillo, Pm dei minori di turno in Procura, ricevette una telefonata dalla Questura. C’è una minorenne, Karima El Marough (in arte Ruby) – fermata per furto. La pm Fiorillo dice che deve andare in comunità, se non ne trovano aperte, la tengano pure in Questura per la notte.

La storia è un po’ più complessa di come appare dal racconto del giornale. Le telefonate dalla Questura alla Fiorillo sono più di una, tutte registrate.

Sembrava un fatto di ruotine, di quelli che se ne verificano tanti nella vita de nuclei operativi e delle volanti. La posizione del pm appare chiara, i poliziotti dicono tra loro: “Ci ha detto che deve andare in comunità” e agiscono di conseguenza. 

Alla fine però Ruby finisce affidata alla allora quasi sconosciuta Nicole Minetti, che si qualifica come collaboratrice ministeriale e era già consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti. Era quello che voleva Silvio Berlusconi (di qui l’accusa di concussione). In realtà Nicole Minetti, il cui ruolo nelle notti calde di Arcore e del bunga bunga emerse solo più avanti col procedere dell’inchiesta, non si porta a casa Ruby, ma la scarica a un’altra ragazza del giro, Michelle Conceicao, con cui pochi giorni dopo Ruby litiga, con intervento di polizia.

La Fiorillo, sentita a verbale dopo lo scandalo, insistette sulla sua posizione: che Ruby doveva andare in comunità; lei non ricordava di averne autorizzato l’affido alla Minetti. Ha scritto  Donatella Stasio:

«Non ricordo di aver autorizzato l’affidamento» scrisse la Fiorillo il 29 ottobre 2010, quando il suo capo della Procura le chiese di ricostruire quella notte. Ma su quel «non ricordo» – spiegato anche in un documento ufficiale consegnato al Csm il 4 gennaio 2011 – è stata costruita un’immagine bifronte di donna e di magistrato, reticente, al limite dell’affidabilità.

Donatella Stasio non sembra d’accordo:

“Un’immagine estranea alla realtà. Così è se vi pare, insomma, e così doveva apparire la Fiorillo, divenuta solo ora testimone «decisivo» del processo, come ha scritto il Tribunale il 27 gennaio scorso, nell’ordinanza con cui l’ha chiamata oggi a testimoniare, prima di chiudere il dibattimento. Nessuno – né la Procura né la difesa – ha mai ritenuto di sentire dalla sua viva voce come siano andati i fatti, sebbene dalla sua ricostruzione dipendano molte bugie e verità raccontate finora, dentro e fuori il Tribunale. Non solo. Quando ha tentato ristabilire la verità nelle sedi istituzionali, è addirittura finita sotto procedimento disciplinare: rinviata a giudizio dalla Procura generale della Cassazione a ottobre 2012, sarà giudicata dal Csm il 15 marzo, proprio a ridosso della sentenza-Ruby, prevista per il 18. L’ennesimo paradosso, che rischia di gettare su questa donna (e sulle sue parole) un’altra ombra, tanto ingiusta quanto funzionale a interessi trasversali ben più oscuri di quel suo «non ricordo»”.

C’è da chiedersi perché la Fiorillo non sia

“stata subito ascoltata nelle sedi istituzionali – Procura, Tribunale, Csm – mentre nessuno lo ha fatto. Salvo il Tribunale, dopo due anni e al termine di una lunga istruttoria dibattimentale in cui sono stati sentiti tutti, compresi i funzionari della Questura: dall’allora capo di gabinetto Piero Ostuni (poi promosso a prefetto) fino alla giovane commissaria Giorgia Iafrate, che nell’aprile scorso ha sostenuto di essere stata autorizzata all’affidamento proprio dalla Fiorillo. Uno sviluppo processuale grottesco, divenuto tragico con l’iniziativa disciplinare scattata quando lei reagì alle dichiarazioni rese in Parlamento il 9 novembre 2010 dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, secondo cui Ruby fu affidata alla Minetti «sulla base delle indicazioni del magistrato». «Quel che ha detto il ministro non corrisponde alla mia diretta esperienza» protestò, mai pensando che la trasparenza si sarebbe trasformata nell’accusa di aver «violato il dovere di riserbo»”.

Non ci sono dubbi che Donatella Stasio propenda per la versione della Fiorillo:

“Sessant’anni, in magistratura dal ’98, la Fiorillo è figlia di un giudice. Chi la conosce la considera una «calvinista» per quel rigore morale e quell’ansia di verità che dovrebbero accomunare uomini e donne ma che si sono trasformati in un boomerang quando ha osato uscire dall’ambiguità cui l’avevano condannata e ha scelto la “scomodità” della trasparenza”

Stasio è certa che lunedì la Fiorillo sarà ascoltata

“con rispetto. In ogni caso, la verità della Fiorillo è già contenuta in un documento ufficiale, quello consegnato al Csm a gennaio 2011, archiviato in gran fretta con la pratica a tutela, con cui chiedeva rispetto per il proprio onore professionale e di tutta la magistratura”.