“Quel vestito strappato, metafora di un Paese”. Piero Ostellino sul Corriere

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Novembre 2013 - 14:23 OLTRE 6 MESI FA
berlusconi

Berlusconi (LaPresse)

ROMA – Le divisioni nel Popolo della libertà, fra governativi e antigovernativi, riflettono la spaccatura, nel Paese, fra cultura statalista, populista e burocratica (maggioritaria) e cultura individualista, libertaria e antiburocratica (minoritaria). È una frattura generata dal modo in cui è nata e si è sviluppata successivamente la Repubblica, sotto l’influsso dell’eredità fascista, del collettivismo comunista e del solidarismo cattolico di sinistra e che si manifesta ora anche nel centrodestra.

Scrive Piero Ostellino sul Corriere della Sera:

Berlusconi ha disegnato il Pdl sull’analogia giolittiana fra l’uomo politico e un sarto. Chiamato a vestire un gobbo — il Paese a cultura statalista, burocratico-populista — ha confezionato una giacca con la gobba: il Pdl, all’interno del quale, fra le due sue anime, pare destinata a prevalere quella statalista, burocratico-populista. Né frattura e divisioni paiono sanabili col ritorno a Forza Italia (…) per la contraddizione che non lo consente. Non è casuale che i governativi si dicano «lealisti» e che gli antigovernativi siano definiti «traditori» (verso il Cavaliere).

Forza Italia era nata come un movimento che si appellava all’Italia individualista, antiburocratica e produttiva. Sotto l’influsso delle vicende personali del suo padre-padrone, e della parte arretrata del Paese, ha subito un’involuzione populista, statalista, burocratica. Berlusconi ha combattuto la cultura «ortopedica» e «pedagogica»; quella che conferiva allo Stato il compito di «raddrizzare il legno storto dell’umanità» e di creare l’«uomo nuovo». Ma è, però, uno statalista. Non nella versione liberale della Destra storica, bensì in quella che della tradizione liberale è la negazione. È uno statalista soprattutto per interesse personale; si ritiene più garantito dai guai giudiziari e rispetto alla magistratura che ne ha fatto un cavallo di battaglia. (…)

Il rovesciamento dell’attuale rapporto fra Stato e cittadino — nell’ipotesi berlusconiana, lo Stato doveva servire il cittadino, non viceversa — avrebbe dovuto produrre una nuova classe politica e un’altra politica. Non è accaduto nulla di quanto, troppo ottimisticamente, preventivato. Non sono nate una classe dirigente, un’altra politica e neppure si è sviluppata una cultura politica diversa da quella egemone. «Le strutture di mediazione politica sono rimaste insufficienti, mentre il Cavaliere, non riuscendo a ottenere successi immediati e decisivi che aveva promesso, si è logorato visibilmente» (…). Machiavelli lo aveva già detto: «Gli regni i quali dipendono solo dalla virtù d’uno uomo, sono poco durabili, perché quella virtù manca con la vita di quello e rare volte accade che la sia rinfrescata con la successione». In fondo, è — per la successione a Berlusconi — il senso delle divisioni, e delle lotte fra governativi e antigovernativi, fra lealisti e traditori, nel Popolo della libertà di questi giorni.