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Quirinale, nella rosa Pd prende quota il nome di D’Alema

di Elisa D'Alto |17 Aprile 2013 8:40

ROMA – Giuliano Amato, nelle ultime 24 ore di trattative, ha perso quotazione. Su Stefano Rodotà, il nome fatto da Beppe Grillo per un voto comune col Pd, il partito non è compatto. Ed è così, sullo stallo sugli altri nomi, che riprende vigore la quotazione di Massimo D’Alema. Secondo La Stampa il nome di D’Alema avrebbe l’appoggio di Renzi e anche quello di Berlusconi, che vedrebbe nel presidente del Copasir un garante. Ecco il retroscena di Fabio Martini su La Stampa:

Per tutta la mattinata Pier Luigi Bersani e i suoi, ben conoscendo il gradimento di Silvio Berlusconi per Giuliano Amato, hanno cercato di capire di quale entità fosse dentro al Pd la fronda nei confronti del «dottor Sottile», due volte presidente del Consiglio, un tempo vicino a Bettino Craxi, oggi al Pd. Ma col passare delle ore nei gruppi parlamentari democratici la candidatura di Amato, pur restando autorevolmente in campo, non decollava (anzi scontava l’anatema di Beppe Grillo, «cassiere di Craxi!») e sotto traccia invece prendeva quota Massimo D’Alema. Nelle ultime 24 ore è proprio lui, il primo presidente del Consiglio ex Pci della storia italiana – il candidato emergente di un possibile accordo che tenga assieme Pd, Pdl, Lega e Scelta Civica di Mario Monti. Sul nome di D’Alema è d’accordo Silvio Berlusconi – che nel leader democratico vede una personalità capace di mantenere gli impegni – dovrebbe essere d’accordo Pier Luigi Bersani e, a quanto pare, non ci sarebbe l’ostilità di Matteo Renzi.

Del faccia a faccia fiorentino tra D’Alema e Renzi poco si è saputo, ma è molto significativo quanto dice Dario Nardella, uno dei 51 parlamentari renziani, già vicesindaco a Firenze e vicinissimo al sindaco: «Se il Parlamento individuerà una personalità in grado di rappresentare al meglio l’Italia a livello internazionale, farà la scelta migliore. Amato potrebbe essere un nome che risponde a questo profilo, così come Prodi o D`Alema. Se decidessimo subito sarebbe un bel segnale». Certo, dal fronte renziano arrivano segnali discordanti su D’Alema (da Matteo Richetti) e anche gli ex popolari (Franceschini, Bindi, Fioroni) non sembrano entusiasti e dunque la pur autorevole candidatura fatica a fare il «pieno» nel Pd. E d’altra parte anche nel 2006 D’Alema entrò quasi Papa nel Conclave che poi elesse Napolitano.

Ed è proprio questo il problema, sempre lo stesso, che impedisce a Bersani di chiudere su uno dei suoi candidati. Per questo motivo in serata, dalla segreteria Pd, facevano trapelare tre nuovi nomi, quelli di tre giudici costituzionali: il presidente della Consulta Franco Gallo; un giurista di lungo corso come Sabino Cassese, vicinissimo a Giorgio Napolitano; Sergio Mattarella, ora giudice costituzionale, ma a suo tempo esponente della sinistra Dc, poi esponente del Ppi, vicepresidente del Consiglio (con D’Alema presidente), un cattolico democratico di tutto punto, la tipologia meno gradita da Berlusconi. Ma anche gli altri due costituzionalisti sono sgraditi al Pdl e dunque senza chances di decollare.

Giornata di trattative, segnali di fumo, ma anche di incontri di Bersani con le due personalità del Pd – Anna Finocchiaro e Franco Marini – che nei giorni scorsi erano stati attaccati da Matteo Renzi, indirettamente riducendone le chances. Anche se nell’incontro con Marini, il leader del Pd ha tenuto il punto, assicurando che il nome dell’ex presidente del Senato resta nella rosa ristretta del Pd. Ma verrà mai presentata una rosa di nomi al Pdl?

E sarà compreso Romano Prodi? Il Professore anche ieri si è chiuso nel silenzio e confida che le prime tre votazioni, quelle che richiedono una maggioranza dei due terzi, producano fumate nere. Dalla quarta in poi, Prodi lo sa: i suoi tanti detrattori potrebbero «convertirsi». Ieri gli è arrivato un segnale anche dagli ex popolari.

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