ROMA – Sergio Mattarella è stato “silurato” da Silvio Berlusconi come candidato del Pd al Quirinale. Questo il retroscena prospettato da Francesco Bei su Repubblica. Mattarella, Franco Marini e Giuliano Amato i tre nomi su cui Berlusconi e i suoi avrebbero potuto concordarsi con Pier Luigi Bersani.
Secondo Bei, Berlusconi non avrebbe perdonato a Mattarella quelle dimissioni dal governo Andreotti per non far passare la legge Mammì per le sue reti televisive:
“Il problema è che su Mattarella il Cavaliere non sente ragioni. «Non ci possiamo fidare », ripete nella riunione. Ancora pesa lo strappo di vent’anni fa, quando i cinque ministri della sinistra Dc (tra cui appunto Mattarella) nel 1990 si dimisero dal governo Andreotti nell’estremo tentativo di non far passare la legge Mammì che cristallizzava il monopolio tv del Biscione”.
Amato invece sarebbe stato un problema per il Pd, e questo il Pdl poteva saperlo:
“Certo, nella rosa ci sarebbe anche Giuliano Amato. Anzi, il nome del dottor Sottile è talmente gradito a Berlusconi che nei palazzi della politica si sparge la voce che l’accordo sarebbe già stato chiuso proprio su di lui. Eppure il Cavaliere non è del tutto convinto. «Su Amato il Pd si spacca — osserva Berlusconi — e anche la Lega e Vendola sono contrari. Bersani non riesce a tenere unito il suo partito e noi rischiamo di ritrovarci Prodi o Rodotà eletti al quarto scrutinio».
Massimo D’Alema, nome che Berlusconi avrebbe potuto accettare, avrebbe invece spaccato il Pdl:
“C’è poi un nome molto forte che, almeno ufficialmente, nella rosa di Bersani non compare. Quello di Massimo D’Alema. Se ne parla eccome. Il Cavaliere in fondo si fida, gli riconosce il ruolo di “capo” della sinistra, «sa tenere a bada i suoi». Ma i dirigenti del Pdl alla fine lo convincono che D’Alema non sarebbe digerito dall’elettorato del centrodestra: «È troppo, “Baffino” è troppo anche per noi».
Non restava allora che Marini, spiega Bei:
“Dunque non resta che Franco Marini. Berlusconi, prima di rientrare a palazzo Grazioli dopo aver visto Bersani, ordina alla scorta di deviare verso i Parioli per un faccia a faccia con l’orso marsicano. Vuole sapere, nel caso arrivi al Colle con i voti del centrodestra, cosa farà Marini sulla questione del governo. E la risposta che ottiene deve essere positiva se alla riunione del gruppo, qualche ora più tardi, il Cavaliere assicura: «Con lui c’è la possibilità di un governo che faccia quello che serve al paese».[…]
Bersani manda un messaggio che suona minaccioso: «Alle otto di stasera abbiamo l’assemblea dei gruppi. Se non vi fate vivi per quell’ora io vado lì e propongo Mattarella». Per Berlusconi suona il campanello d’allarme, ma in fondo il Cavaliere è già convinto. «Marini è il massimo che possiamo ottenere. Nel 2008, quando cadde Prodi, non provò a fregarci e si fece da parte, così potemmo andare alle elezioni ». A mezzabocca nel Pdl ammettono che Berlusconi e l’ex presidente del Senato, nel loro colloquio all’ora di pranzo, hanno parlato anche della questione giustizia. «Marini — racconterà il Cavaliere al suo ritorno — sa bene come funziona la magistratura in Italia»”.
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