Le radici politiche di Matteo Renzi? La Pira e Prodi. Domenico Cacopardo su Italia Oggi

Matteo Renzi
Matteo Renzi

ROMA – Le radici politiche di Matteo RenziLa Pira e Prodi risponde Domenico Cacopardo di Italia Oggi: “Quel che resta della sinistra-sinistra di governo si divide su Matteo Renzi. Da un lato Antonio Polito, critico, dall’altro Claudio Velardi favorevole. Velardi considera premature le critiche di Polito, visto che dal successo del sindaco di Firenze nelle primarie è passato appena un mese”.

L’articolo di Domenico Cacopardo:

E, poi, quanto cattivo gusto in quel «Renzi» nella stanza in cui si riunisce, a Firenze, la segreteria del Pd, unitamente all’infelice ‘L’Italia cambia verso’! Quanta protervia in quelle scatole Eataly del fortunato imprenditore Farinetti, un suo amico!

Velardi si chiede perché non aspettare, prima di un giudizio definitivo, visto che abbiamo «regalato decenni di attese e di speranze a Prodi e D’Alema, Veltroni e Letta, Rutelli e Amato’. In realtà, i politici che hanno fruito di indulgenti attese, sono due: Prodi e Amato. Il primo beneficato dal compromessino storico tra exPci ed exDc di Base. Il secondo, immeritatamente estratto dall’oblio politico al quale era destinato, in mancanza di un excomunista col coraggio di assumersi la responsabilità di succedere a D’Alema. Veltroni aveva avviato il rinnovamento reale dello schieramento riformista (la «vocazione maggioritaria») azzoppandolo però poi con l’errata alleanza con Di Pietro.

Velardi va poi al merito. Polito vorrebbe trovare in Renzi le doti dei grandi politici conosciuti quando aveva i pantaloni corti. Quindi, uomini, di cui si potevano prendere le misure con l’armamentario culturale di cui le nostre generazioni disponevano. L’argomento non è affatto convincente. Renzi non conosce la storia, gli uomini che colloca nel suo personale Pantheon, da La Pira e Prodi, non hanno nulla da dire nella modernità, rappresentando quel solidarismo integralista cattolico che ha prodotto molti più danni di quelli causati dai partiti ideologici (Pci e Psi). E non conosce le questioni su cui è naufragata la Prima repubblica a cominciare dal mancato, definitivo incontro tra socialisti e comunisti, sino alla questione morale. Rimane ancorato alla superficie delle cose, attribuendo, per esempio, valore assoluto, per la governabilità, alla legge elettorale, quando abbiamo visto miseramente fallire il sistema maggioritario, divorato dall’inestinguibile frazionismo nazionale. E, rivendicando l’abolizione del finanziamento pubblico, apre la strada a un opaco soccorso privato. Anche il parlare del superamento del 3% è rischioso: non ha nessuna possibilità di passare in Europa e rischia di mettere in apprensione i detentori di titoli italiani rischiando di sfasciare il sistema bancario. Secondo Velardi, veniamo da un tempo in cui il contenuto politico era scollegato dalla comunicazione e in cui tattica e strategia erano quelle che si imparavano nel Transatlantico. Roba morta e sepolta. E anche qui c’è da ridire: ciò che non morirà mai è la forza della ragione. Saper comunicare non comporta capacità di governo.

Il secondo appunto velardiano riguarda una specie di rivolta dell’establishment politico-giornalistico-imprenditoriale nei confronti del giovane innovatore fiorentino. Un blocco mentale nato dal timore che il suo esempio si estenda a macchia d’olio rottamando tante lucrose posizioni sociali e professionali. Ebbene, Matteo Renzi è un giovanotto dalla furbizia eccessiva, che sa evitare i trabocchetti delle domande precise, saltando dal metodo al contenuto. Per ora, chiacchiere e poco più. Perché dunque il sì di Velardi? Perché è portatore sano di un virus: la convinzione che un uomo della sinistra democratica non vincerà mai le elezioni. Perciò, l’affidarsi al similBerlusconi di mezza-sinistra è l’unica strada per conquistare il potere.

Ps: se Renzi continua a destabilizzare il governo, non avrà lo scalpo di Letta, ma quello di Napolitano.

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