ROMA – Marco Travaglio si occupa di Rai e rileva l’incongruità, per non dire assurdità, della presenza, nel nuovo Consiglio di Amministrazione, di alcuni suoi componenti. Senza risprmiare un assaggio anche al neo direttore generale Antonio Campo Dall’Orto, un mito a sé.
Staccandosi dal coro melenso di melassa che ha accompagnato le scelte del Governo, basandosi, e tanto basta, sulle cose dette a botta calda da alcuni neo consiglieri, Marco Travaglio traccia un quadro desolante.
Non che in Rai il Consiglio di amministrazione abbia mai svolto un ruolo propulsivo per l’azienda. Compito dei consiglieri era presidiare la spartizione degli appalti fra le correnti; ora è quello di verificare che un direttore generale fuori controllo non faccia scelte fori degli accordi fra chi decide e vuole ciò che si puote.
Travaglio, nel suo editoriale pubblicato dal Fatto sabato 8 agosto 2015 e intitolato “Viale Renzini”, non nomina a nuova presidentessa Monica Maggioni, quella che, promossa da direttrice con mezzo punto di share a presidente, conferma che la meritocrazia è una balla e che i risultati per fare carriera in un certo mondo sono un optional. Il presidente per tradizione ha sempre contato poco. C’è molta attesa su cosa farà Monica Maggioni, notoriamente presenzialista e capace di piacere a tutti, chissà perché, e come prenderà le misure con Campo Dall’Orto, guru di vocazione. Il tema, per ora, non appassiona Travaglio, anche se il suo giornale ha già anticipato qualche domanda.
Marco Travaglio non cita Franco Siddi, giornalista e già segretario della Fnsi, il segretario dei giornalisti.
Siddi ha il difetto che pur essendo di sinistra non nasce comunista, ma nelle Acli, che forse è peggio, confermano le cose vergognose dette su di lui da giornalisti anche di nome. Non ci fosse stato Siddi (e gli editori non fossero stati allo sbando) non ci sarebbero stati aumenti in contratto e forse nemmeno il contratto, come accadde al predecessore di Siddi, Paolo Serventi Longhi, che preferì la linea dettata dai suoi estremisti piuttosto che la ricerca di un accordo.
Non cita nemmeno Carlo Freccero, altro mito dei giornali di sinistra che avrà fatto anche dei buoni programmi (Berlusconi fu il suo mentore), ma qui si tratta di amministrare una azienda, non di interferire con le direzioni di rete.
Sulle prime, osserva Marco Travaglio,
“i curricula di al-cuni dei prescelti nonci pare-vano proprio all’altezza, ma poi abbiamo letto le loro prime interviste e abbiamo dovuto ricrederci. Sono proprio i più competenti, di meglio era impossibile trovare. Antonio Campo Dall’Orto è fuori concorso: lui nel ‘94 era un fervente berlusconiano perché “pensavo che Berlusconi potesse portare una discontinuità”, quindi ha una perspicacia unica al mondo.
In questo Travaglio è superato dal senatore del Pd (e ex vice direttore dell’Espresso e del Corriere della Sera) Massimo Mucchetti che sul suo blog scrive:
“A Renzi sarebbe bastato chiedere al suo amico Bernabè per sapere che il suo pupillo lasciò La7 che perdeva oltre 120 milioni di euro e un audience del 2- 3%”.
Tolto Campo Dall’Orto, prosegue Marco Travaglio,
la più esperta è senz’altro la pidina Rita Borioni, che associa alla sfavillante laurea in Storia dell’arte e alla senz’altro folgorante esperienza al fianco di Matteo Orfini una robusta conoscenza del mezzo televisivo. Non a caso, respingendo qualunque sospetto di lottizzazione e di manuale Cencelli (ammesso che sappia cos’è), risponde perentoria: “Io sono un tecnico”. E ho detto tutto.“Mi sono occupata–rivela alCorriere della Sera–della normativa che riguarda la tv, in particolar modo della delocalizzazione delle produzioni televisive”che, incredibile ma vero, “per ragioni economiche venivano girate in altri Paesi”. Roba forte. Ma non solo: “Sono 20 anni che mi occupo di cultura nel mio partito, il Pd. Ho lavorato anche a Cinecittà Holding come consulente”. E, non bastasse, “ho insegnato anche legislazione dei beni culturali all’Università della Calab ri a”, con “un ruolo precario”, l’ideale per “occuparmi subito dei precari Rai” i quali, essendo precari, “portano avanti il loro lavoro con contratti rinnovati di anno in anno”.
Senza contare che le capitò per qualche giorno di condurre “un programma delizioso: s’intitolava Stendhal” sulla RedTv, l’emittente delPd in clandestinità. Una volta ha pure “visto il bilancio dello Stato e della Finanziaria”, ma è stato un attimo, di sfuggita. Che Rai ha in mente? “Una Rai che “racconta l’Italia”, risponde all’Unità, ed è una cosa che non era venuta ancora in mente a nessuno.
Più complicato arguire i suoi propositi sulle politiche da adottare contro la concorrenza di Sky. Su questo Orfini non le ha ancora detto niente e lei, da buona tecnica, risponde al Messaggero: “Io non ce l’ho Sky. Non ho la parabola. Ha anche un costo l’abbonamento a Sky… in tempi di ristrettezze economiche per tutti…”.
Però lo vede “o-gni tanto, a casa di mio fratello”. E “comunque ora l’a bbo na-mento lo farò”. L’intervistatore azzarda un’altra domanda tra-bocchetto, fuori dal programma: e il digitale terrestre lo sa che cos’è?. “Io mi occupo di cultura”. E della digitalizzazione della Rai, che dice? “Lei mi sta facendo la domanda dalle mille pistole. Questo della digitalizzazione è un tema da saggio scientifico, non da domanda al telefono”. […]. Per questo Renzi e Orfini l’hanno preferita a quell’incompetente di Ferruccio de Bortoli. Perché –spiega Orfini –De Bortoli viene dai “salotti del capitalismo bene” e porta con sé “il fascino discreto della borghesia”, del tutto incompatibile con un partito proletario che prende i soldi dai compagni Buzzi & Carminati, salva l’operaio Azzollini e candida De Luca, noto terzinternazionalista.
L’altro asso nella manica del Pd è Guelfo Guelfi, amico del padre di Renzi e ghost writer delle sue campagne elettorali, ma anche la smentita vivente a chi accusa Renzi di nominare solo fiorentini: infatti è pisano. “Mi ha chiamato, mentre andavo dal dentista, la ministra Boschi”. Che è aretina. E lui ha subito accettato, dall’alto della sua “esperienza di pubblicitario prestato alla comunicazione pubblica”. “Dirigo ilPuccini e il teatro la Rai non lo trasmette mai”. Non è vero, ma fa lo stesso. “Stimo Matteo, ho fatto parte del suo laboratorio politico”. Ecco, il teatro, Matteo e il laboratorio.
Poi? “La tv moderna non può esser fatta solo di talk show”. Ecco, meno talk. Altro? “Prima di aprire bocca, voglio aprire la porta. Entrare, vedere, conoscere, capire i problemi. Sarà importante per prima cosa trovare il bandolo della matassa”. Il bandolo, come no.
Anche il simpatico forzista Giancarlo Mazzuca vuole “una Rai efficiente e moderna”. Infatti il suo ultimo ricordo nitido risale appena agli anni 50: “Ogni giovedì sera con i miei genitori andavamo in casa di amici a seguire Lascia oraddoppia?. Al cinema veniva interrotta la programmazione dei film e nell’intervallo in sala si seguiva in diretta la trasmissione diMike Bongiorno. Ma soprattutto oggi mi tornano in mente lo stupore e l’incredulità con cui da bambino, piccolo telespettatore, seguivo i quiz show Rai”. Ora vorrebbe “che tornassero negli occhi di tutti noi lo stesso stupore e la stessa incredulità di quei giorni”. E torneranno, oh se torneranno: soprattutto l’incredulità”.