Renato Brunetta sul Giornale: “La grande occasione sprecata sulle quote di Bankitalia”

Renato Brunetta sul Giornale: "La grande occasione sprecata sulle quote di Bankitalia"
Brunetta (LaPresse)

ROMA – Il testo del governo sulla rivalutazione del capitale di Bankitalia è tutto da rifare. Ecco i punti critici: dai veti di Bce e Bundesbank all’errore sul valore troppo basso.

Scrive Renato Brunetta sul Giornale:

Il governo delle occasioni sprecate. Avrebbe potuto cambiare l’Italia. Aveva un programma, per quanto non scritto, chiaro e definito. Basta­va metterlo in atto. Invece nien­te. Abbiamo chiesto una rifor­ma organica del sistema di tassa­zione degli immobili, ed è venu­to fuori il pasticciaccio brutto della Iuc. Non si è messo mano alla Pubblica amministrazione. Non è stato fatto l’attacco al debi­to. Non è stato ultimato l’accor­do bilaterale con la Svizzera per il rientro dei capitali. Non sono stati introdotti i costi standard in sanità. I tagli alla spesa pubbli­ca sono solo virtuali. Non si è rea­liz­zata l’accelerazione dei paga­menti dei debiti della Pa. Infine, abbiamo proposto la ri­valutazione del capitale della Banca d’Italia, ma il governo ha presentato troppo tardi un de­creto scritto male. Tanto male che è bloccato a Francoforte dal­la Bundesbank e dalla Bce. Già prima dell’estate, l’allora Pdl aveva fornito al ministro Sacco­manni la propria proposta di cal­colo del valore del capitale, con le relative procedure di Legge. Fatta bene e in tempo, da questa operazione sarebbero derivati benefici per tutti. Invece il Mef ha solo accumulato ritardi. Troppe incertezze, troppi tempi persi. Ecco i punti critici.

Il governo ha inserito la norma relativa alla rivalutazione del ca­pitale della Banca d’Italia nello stesso provvedimento di cancel­lazione della seconda rata del­l’Imu 2013 sulla prima casa, spa­lancando le porte ai rilievi della commissione Affari costituzio­nali del Senato, legati alla non omogeneità delle materie conte­nute nel decreto, nonché alla non effettiva necessità e urgen­za di fare ricorso a tale strumen­to.

Il valore contenuto nel decreto di rivalutazione del capitale del­la Banca d’Italia (7,5 miliardi) è quello giusto? Diversi calcoli sa­rebbero s­tati possibili e avrebbe­ro portato a una valutazione del capitale della nostra Banca cen­trale (attualmente 156mila eu­ro) fino a 30 miliardi di euro. Nel procedere alla determinazione del capitale si parte dai dividen­di distribuiti dalla Banca nel 2012, in percentuale sul capitale a bilancio (156.000 euro), valore che risale al 1936. Se solo si fosse applicata la rivalutazione mone­taria degli indici Istat, oggi quel capitale varrebbe circa 320 mi­lioni.

A questo primo elemento si somma la cosiddetta «partecipa­zione al fruttato (il rendimento) delle riserve ordinaria e straordi­naria » dello 0,5%, quando lo sta­tuto della Banca d’Italia preve­de un limite del 4%. Se si fosse partiti da questo secondo valo­re, la valutazione finale avrebbe portato a un importo ben più al­to, fino ad un massimo di quasi 30 miliardi. Al 31 dicembre 2012 gli utili netti di Banca d’Italia era­no pari a 2,5 miliardi: per cui ipo­tizzando un price earning ( molti­plicatore degli utili per ottenere il valore dell’ asset ) di 10 si rag­giunge la cifra di 25 miliardi. Per avere un’idea del carattere con­servativo di questa valutazione si consideri che il price earning di Unicredit è pari a 30. Se questi parametri sono ritenuti insuffi­cienti, si guardi al capitale com­plessivo (comprensivo delle ri­serve accumulate) di Banca d’Italia,che,sempre al 31 dicem­bre 2012, era pari a 21 miliardi e 774 milioni. Oppure si consideri l’attivo iscritto a bilancio.Si trat­ta di circa 610 miliardi. Non tut­to può essere considerato patri­monio netto, ma tra oltre 610 mi­liardi e 25 miliardi esiste una bel­la differenza.

Articolo 4, comma 4, del decre­to: possono detenere le quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia banche e imprese di assicurazione e di riassicura­zione aventi sede legale non so­lo in Italia, ma anche in uno Sta­to membro dell’Unione euro­pea diverso dall’Italia. Tradot­to, significa che qualsiasi istitu­to finanziario straniero è nella posizione di acquistare quote dell’istituto di via Nazionale.Co­sì facendo, il ministro Sacco­manni dà all’estero l’impressio­ne che l’Italia sia un paese in of­ferta speciale. Rischiamo di rea­lizzare proprio ciò che abbiamo in tutti i modi cercato di scongiu­rare e che i predatori dalla tripla A, invece, aspettavano da tem­po: la vendita a prezzi stracciati dei nostri gioielli di famiglia, in­clusa la Banca centrale.

Che con riferimento alla rivalu­tazione del capitale della Banca d’Italia qualcosa non andasse nel verso giusto si è capito fin da subito, quando l’approvazione del decreto è stata più volte ri­mandata. Si è detto in attesa di un apposito parere (obbligato­rio) della Banca centrale euro­pea. Ma così non è: questo fami­gerato parere è ancora fermo a Francoforte per l’opposizione della Bundesbank, che ha fatto diversi rilievi al testo del mini­stro Saccomanni, sia a livello tec­nico, quanto a livello politico, dato che l’ex vicepresidente del­la Bundesbank, Christoph Zeit­ler, ha accusato il governo Letta di fare «contabilità creativa». Torniamo di nuovo a chiederci: non era Saccomanni l’uomo del­la Provvidenza, l’uomo in gra­do, con la sua esperienza e la sua credibilità, di rimettere a posto le cose della nostra dissestata fi­nanza pubblica? (…)

 

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