Renzi, Confindustria, Telecom: rassegna stampa del 20 dicembre

Renzi, Confindustria, Telecom: rassegna stampa del 20 dicembre
La Repubblica del 20 dicembre

ROMA – Sindaci in rivolta, Renzi sfida il governo e Letta promette un decreto anti-tagli. La Repubblica: “Il leader Pd: porcata sulle slot. Il premier: serve responsabilità”.

L’articolo a firma di Alberto D’Argenio e Roberto Petrini:

Un Pd in assetto da guerra alza il tono del pressing sul governo Letta. Mentre si arriva allo snodo conclusivo sulla legge di Stabilità che oggi verrà sottoposta al voto di fiducia, i grossi calibri del partito, dal segretario Renzi, al presidente del dell’Assemblea Cuperlo, al sindaco di Torino e presidente dell’Anci Piero Fassino incalzano il governo, dando voce al disagio che serpeggia nel paese.

Il terreno per combattere la guerriglia è ampio: i numerosi decreti di qui a fine anno sono all’esame delle Camere si prestano, in ogni momento, a far scoppiare il caso, da quello sull’Imu a quello sulle Province. La bagarre è dietro l’angolo: così è avvenuto ieri sul provvedimento Salva-Roma dove il governo è stato battuto su un emendamento che rincarava l’addizionale Irpef nella Capitale e dove la presenza di una norma, sponsorizzata dall’esecutivo, che di fatto impedisce la lotta al gioco d’azzardo elettronico da parte di sindaci, ha scatenato la reazione infuriata del segretario del Pd Matteo Renzi, appena reduce dell’aut aut sulla web tax. «Una porcata che va bloccata», ha intimato il leader dei democratici.

A rafforzare l’assedio sul governo anche il presidente del Pd, Gianni Cuperlo, che ha raccolto il malumore dei sindaci i quali da giorni reclamano 1 miliardo e mezzo per il mancato gettito provocato dalla riforma dell’Imu. «Il governo non ignori il disagio dei sindaci e agisca prima che la corda si spezzi», ha dettato in una nota il presidente dell’Assemblea dei democratici.

Così a fine giornata il presidente del Consiglio Enrico Letta, da Bruxelles, dov’è per il Consiglio europeo, è passato al contrattacco e ha cercato di riequilibrare un bilancio che rischiava di essere molto negativo. Il premier ha trovato il modo per sentire Renzi, Saccomanni e Franceschini. Nei contatti riservati, dove anche Renzi ha avallato le ragioni dei Comuni, Letta si è impegnato a fare un decreto entro fine anno per ripristinare parte dei fondi tagliati dalla Legge di Stabilità.

Un fronte delicato, quello dei rapporti tra governo e Pd, con Letta che ieri era irritato anche con Confindustria e il suo presidente Squinzi per le critiche alla manovra e alla situazione economica. «Cavalcano i forconi, se hanno la bacchetta magica la tirino fuori», è stato il commento del premier. «Che i partiti di maggioranza ci incalzino va bene — si è sfogato — ma ci vuoleresponsabilità e da Confindustria sembra essere venuta meno, così uccidono la fiducia e fanno male anche a se stessi».

Il tutto in una giornata in cui Letta contava di incassare due risultati positivi come l’interessamento di Ethiad ad Alitalia, dossier sul quale il governo ha lavorato, e lo spread sotto i 220 punti: «Se la situazione fosse così nera questi due successi non sarebbero arrivati». E a Palazzo Chigi calcolano che l’aver tenuto la barra dritta, grazie alla stabilità e al lavoro del governo, ha consentito di risparmiare dai 4 ai 6 miliardi che grazie al calo dei tassi non sono stati bruciati per pagare gli interessi sul debito. «Una mezza Finanziaria». Dunque ancora un po’ di pazienza «anche se sappiamo che la gente soffre », è la scommessa e la richiesta di Letta, perché «tra qualche mese la ripresa si farà sentire» e se alla fine del 2014 avremo una crescita dell’1 per cento oltre alle privatizzazioni e alla spending review sarà tutto un altro mondo.

“Danni da guerra per l’Italia, altro che ripresa”. L’articolo a firma di Valentina Conte:

«Nulla sarà più come prima». Due recessioni in sei anni hanno inferto all’Italia tali e tanti «cambiamenti strutturali» che è «improprio» e addirittura «derisorio» parlare di ripresa. Piuttosto qui si tratta di «ricostruzione », perché il Paese si affaccia all’anno nuovo con «danni commisurabili solo a quelli di una guerra». Gravemente arretrato e più fragile. E con «il pericolo maggiore» di un «cedimento della tenuta sociale». Basta poco «perché gli eventi prendano una piega infelice». Uno scenario preoccupante, quello descritto da Confindustria nel Rapporto annuale. E amplificato dalle parole del suo presidente che prevede una «risalita lunga e lenta» e un Pil ai valori del 2007 «non prima del 2021».

Squinzi non nasconde la delusione e il disappunto nei confronti del governo Letta. «Qui occorre un cambio di passo», attacca. «Rinvii e tatticismi nel fare le riforme non sono più ammessi. Ogni giorno perso vuol dire far morire imprese, lasciare persone senza lavoro, perdere capacità produttiva, cancellare una parte delle industrie italiane ». Nel mirino, la legge di Stabilità: «Non è sufficiente per la ripartenza. Avrà un impatto molto piccolo sul Pil: 0,1 o 0,2%». Severa la risposta di Letta:«È mia responsabilità non sfasciare i conti pubblici». Secca la replica di Squinzi: «Proviamo a non sfasciare il Paese».

D’altro canto i dati di Confindustria sono allarmanti. In sei anni sono raddoppiati i poveri (4,8 milioni) e i senza lavoro (7,3 milioni). Le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ovvero 5.037 euro in media all’anno. Sono andati in fumo 1,8 milioni di posti. Il Pil è sceso del 9,1%. Quello procapite dell’11,5%, circa 2.900 euro a testa, tornando ai livelli del 1996. La produzione industriale è tracollata del 24,6%, un quarto in meno, indietro al 1986. Mentre il sommerso prende ilvolo: 190 miliardi nel 2012 (12,1% del Pil) e trascina la pressione fiscale reale al 56,2%, top nell’Eurozona.

Un altro assassino evade dopo il permesso partecipò all’omicidio della ex fidanzata. L’articolo a firma di Giuseppe Caporale:

Un’altra evasione. Mentre infuriano le polemiche dopo il caso di Genova, con il serial killer non rientrato dal permesso premio (oggi la Cancellieri riferisce in Senato), arriva la notizia di un secondograve episodio.

IL KILLER di camorra Pietro Esposito manca da sabato all’appello del carcere di San Donato. Per il tribunale di sorveglianza di Pescara era diventato un detenuto modello. Tanto che gli era stato concesso, sei giorni fa, un permesso premio: otto ore di libertà. Doveva rientrare nella casa circondariale della città adriatica alle 18 di sabato. Invece, quelle ore gli sono servite per fuggire, costringendo la polizia penitenziaria e la squadra mobile di Pescara a lanciarsi in una caccia all’uomo che ancora non dà alcun esito.

E si scopre intanto che quello non era il primo permesso premio che Esposito era riuscito ad ottenere. Un altro gli era stato concesso appena pochi mesi fa. Nonostante le sue tre pagine della sua fedina penale completa di diverse condanne: due per complicità in omicidi differenti, due per rapina, una per evasione dal carcere e un’altra per associazione mafiosa.

Perché è lui il killer che partecipò — e poi confessò — al brutale assassinio (avvenuto nel 2004) di Gelsomina Verde, la ragazza di 23 anni, sua ex fidanzata: torturata, uccisa, e date alle fiamme, dal clan Di Lauro durante la faida di Scampia. Ora Esposito è in fuga. «Abbiamo il fondato sospetto che possa non essere andato troppo lontano e che si stia nascondendo qui a Pescara o in qualche appartamento nei territori circostanti », spiegano gli inquirenti. La polizia sta passando al setaccio amici e conoscenti del camorrista. Perché Esposito le ultime azioni criminali le aveva compiute in zona, nella provincia di Pescara, dopo che dal 2006 era stato trasferito nel carcere della città adriatica, nell’area speciale dedicata ai collaboratori di giustizia. In quel penitenziario ha scontato la pena a sei anni di carcere per il concorso nell’omicidio di Gelsomina Verde. Ed era ancora lì aseguito di una condanna per evasione. Ma a marzo del prossimo anno avrebbe saldato anche questo debito con la giustizia. Ma non sarebbe stata nemmeno questa l’ultima pena da scontare: altre condanne e altri processi pendono sulla sua testa. Per questo, forse, è scappato.

Telecom, l’accusa dei pm. Il Corriere della Sera: «Ostacolo alla Vigilanza su Telefonica e cessione argentina».

L’articolo a firma di Fiorenza Sarzanini:

L’interrogatorio come testimone di Franco Bernabè è il primo atto ufficiale di un’inchiesta che può avere sviluppi clamorosi. Perché le verifiche ordinate dai magistrati romani ipotizzano che per il passaggio delle quote in Telco relative al controllo di Telecom Italia e la cessione di Telecom Argentina, possa essere contestato il reato di ostacolo agli organi di Vigilanza. Esplorano la possibilità che ci sia stata un’intesa occulta tra i maggiori azionisti per favorire l’ascesa degli spagnoli di Telefonica e sfuggire ai controlli di chi ha invece il compito di esaminare la regolarità di ogni passaggio, prima fra tutte la Consob.

La versione fornita ieri al procuratore aggiunto Nello Rossi e al pubblico ministero Maria Francesca Loy dall’ex presidente, che si è dimesso proprio per esprimere la propria contrarietà all’operazione, diventa dunque snodo fondamentale dei nuovi accertamenti disposti dopo l’acquisizione avvenuta circa un mese fa della documentazione presso le sedi societarie e la stessa Consob. Sono almeno tre le «criticità» rilevate dagli inquirenti e dagli specialisti del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza riguardo a quell’accordo stipulato il 24 settembre scorso tra i soci di Telco (Assicurazioni Generali, Intesa San Paolo e Mediobanca) e Telefonica.

La prima riguarda l’aumento di capitale sottoscritto da Telefonica per 324 milioni di euro e destinato a ripianare i debiti bancari. E infatti ci si concentra sull’opzione di acquisto delle azioni al prezzo di 1,09 euro che rappresentava quasi il doppio del prezzo di mercato pari a 0,57. Ma anche sulla scelta di emettere azioni ordinarie di Telco di categoria C senza diritto di voto fino al 31 dicembre 2013 che Telefonica si è impegnata ad acquistare dai soci.

La seconda punta invece alle modalità di emissione dell’ormai famoso prestito convertendo da un miliardo e trecento milioni di euro sottoscritto dal fondo americano BlackRock. In particolare vengono ritenute «anomale» le modalità di collocamento, soprattutto nella parte delle informazioni ai sottoscrittori. I primi ad avanzare dubbi sono stati i piccoli azionisti di Asati che hanno evidenziato nel loro esposto alla Consob «un trattamento iniquo verso tutte le minorities a cui è stato strappato un diritto in anticipo, chiedendo a posteriori una approvazione in una assemblea straordinaria nella quale occorreranno i due terzi per arrivare al rigetto». I controlli effettuati dal Nucleo Valutario hanno fatto il resto, evidenziando il ruolo ancora non chiaro avuto da Telecom Finance Sa e la sottoscrizione del bond per 100 milioni dalla stessa Telefonica e per altri 200 milioni da BlackRock, nonostante inizialmente si fosse deciso di escludere gli Stati Uniti dal collocamento.

Il via libera di Draghi all’Unione bancaria. L’articolo a firma di Ivo Caizzi:

Il Consiglio dei capi di Stato e di governo ha approvato il progetto di Unione bancaria e punta ora a superare gli ultimi contrasti con l’Europarlamento. Anche il presidente della Bce, Mario Draghi, invitato alla cena del vertice, ha apprezzato il complicato compromesso sul fondo comune per il salvataggio delle banche, concordato mercoledì notte dai ministri finanziari dell’Ecofin su pressione della Germania. «La Bce accoglie con estremo favore l’accordo raggiunto — ha detto Draghi entrando nel palazzo Justus Lipsius di Bruxelles —. È un passo importante verso il completamento della nostra Unione bancaria. Ora si deve iniziare subito il negoziato con il Parlamento europeo».

Dagli eurodeputati sono attese varie richieste di miglioramenti, graditi dalla Bce e dall’Italia. Il presidente tedesco dell’Europarlamento Martin Schulz, intervenendo al summit, ha giudicato molto inferiore alle aspettative l’accordo dell’Ecofin e ha annunciato un confronto «durissimo» nella trattativa con la sua istituzione (che ha potere codecisionale).

«Se ci fosse stata l’Unione bancaria che abbiamo approvato 4 o 3 anni fa — ha detto il premier Enrico Letta — l’Europa non avrebbe dovuto buttare via miliardi di euro per salvare le banche». Letta ha auspicato che l’Europarlamento ottenga qualche «passo avanti in più», anche se considera il progetto, dopo il compromesso dell’Ecofin, un «bicchiere mezzo pieno».

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