Il Corriere della Sera: “Parte il governo Renzi, Pd tormentato”. I propri interessi come ideologia. Editoriale di Ernesto Galli della Loggia:
Un Paese ha bisogno di élite e al tempo stesso di una burocrazia. E come esistono élite ed élite , così esistono burocrazie innovative e burocrazie arteriosclerotizzate: ha fatto bene Giuliano Amato a sottolinearlo nella sua intervista di lunedì al Corriere . Solo un micidiale semplificatore come Lenin o forse un addicted al blog di Beppe Grillo possono pensare che per amministrare uno Stato possa bastare l’esperienza di una cuoca (anche se alla cuoca il primo era pronto ad affiancare il plotone d’esecuzione, mentre il secondo forse è disposto, più mitemente, ad accontentarsi di Internet).
Il problema dunque non è burocrazia sì o no. Nel caso dell’Italia il problema è innanzitutto un problema di formazione e di reclutamento. Le burocrazie che danno buona prova di sé sono dappertutto quelle reclutate su base rigidamente meritocratica: cioè attraverso corsi di studi seri ed esami severi. L’esempio classico continua a essere (pur con qualche smagliatura) la burocrazia francese con le diverse Alte Scuole alle sue spalle. La prima defaillance del nostro sistema sta proprio qui. Da noi, infatti, non solo a cominciare dal curriculum scolastico e universitario il criterio del merito è virtualmente scomparso, ma veri esami d’ingresso degni di questo nome si fanno ormai esclusivamente in pochissime amministrazioni. Ancora resiste bravamente, ad esempio, la Banca d’Italia, ma già gli Affari esteri e la Magistratura — dove una volta entrare costituiva una prova non indifferente, e dove la carriera e la progressione retributiva non conoscevano l’anzianità — si sono arrese ai tempi nuovi.
La tentazione di porsi come capo di un governo contro il cosiddetto «Palazzo» rimane vistosa. Ma si avverte, da parte di Matteo Renzi, anche la presa d’atto di dipendere dai voti del Parlamento e dunque di non potersi fare troppi nemici; e di essere circondato da un corposo scetticismo sulla possibilità di durare per l’intera legislatura. Dall’equilibrio che riuscirà a trovare tra la sua doppia identità si capiranno anche il futuro del governo e della legislatura. L’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, tornato per votare la fiducia dopo un’operazione, ha sintetizzato il problema con una metafora. «Da domani», ha detto, «gli italiani vorranno misurare lo spread tra parole e fatti».
Renzi ne è consapevole. E nel discorso di ieri, più applaudito di quello al Senato ma a tratti fumoso e verboso, ha cercato di mettere qualche punto fermo. Le ferite nel Pd, però, rimangono aperte, nonostante il voto compatto a favore del governo. L’abbraccio in Aula tra Bersani e l’ex premier Enrico Letta ha misurato la distanza e il gelo tra presidente del Consiglio ed ex maggioranza del partito. Per paradosso, in queste prime ore a emergere non è tanto il sostegno del Pd a Renzi, ma quello di Forza Italia, che pur stando all’opposizione lo abbraccia in nome della riforma elettorale: benché non sia ancora chiaro se avverrà con la rivoluzione del Senato.
Una riduzione delle tasse sul lavoro per il 2014 di dieci miliardi di euro, a «doppia cifra» come dice il premier Matteo Renzi, compresa una sforbiciata del 10% all’Irap versata dalle imprese, che vale da sola circa 2,5 miliardi di euro. Il piano del governo per abbattere le imposte sul lavoro comincia a delinearsi e, secondo indiscrezioni, potrebbe cominciare a trovare attuazione in tempi rapidissimi, forse già questa settimana con l’intervento sull’Irap.
«Pensiamo che nell’arco di 12 mesi sia ampiamente alla portata trovare 8 miliardi per tagliare il cuneo fiscale, e che si possa arrivare anche a 10» ha assicurato a Radio 24 il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei. Le coperture, ha aggiunto Taddei, arriverebbero essenzialmente dai tagli alla spesa pubblica, ma non solo.
A via XX settembre il titolare dei conti pubblici, Pier Carlo Padoan, che ieri ha visto il commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli, sta già riesaminando la situazione dei conti pubblici. E c’è un certo ottimismo sui margini di manovra disponibili per rilanciare l’economia. Gli sgravi fiscali sul lavoro, ripetono i collaboratori di Renzi, «non sono un libro dei sogni».
Tanto per cominciare la conferma arrivata ieri dalla Ue (che Eurostat certificherà il primo marzo) del disavanzo pubblico sotto il 3% nel 2013, “libera” per quest’anno tra i tre e quattro miliardi di euro, che diventano spendibili. E dunque diventano utilizzabili anche per la copertura degli sgravi fiscali.
La prima pagina de La Repubblica: “Renzi alla Ue: non prendiamo ordini”.
La Stampa: “Crescita, Italia come la Grecia”.
Applausi, lacrime e abbracci Letta e Bersani rubano la scena. Scrive Fabio Martini:
La nemesi si è presentata sul palcoscenico di Montecitorio all’ora del caffè. Quasi in coppia, sono inaspettatamente ricomparsi in aula Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta e proprio loro – gli ultimi campioni (sconfitti) della politica tutta prosa e niente effetti speciali – sono riusciti a rubare la scena a Matteo Renzi, il maestro della politica-affabulazione. Grazie ad una sequenza degna dei miglior spin-doctor americani. Nei giorni scorsi Bersani e Letta si erano parlati, si erano dati appuntamento a Montecitorio, avevano accarezzato la suggestione di una scena madre, ma la realizzazione è stata superiore al soggetto, se esisteva. Il piano-sequenza è durato un’ora, scandito in tre scene-madri commoventi, una più eloquente dell’altra. Tutto è iniziato verso le tre del pomeriggio. Alla Camera è in corso l’ultima parte del dibattito per la fiducia al governo. Inatteso spunta in Transatlantico Pier Luigi Bersani, 51 giorni dopo il malore che poteva costargli caro. Si sapeva che stava meglio, ma vederlo riapparire è stato emozionante per tutti. È leggermente dimagrito, ma sorridente, spiritoso, lucidissimo.
Fra i reduci di Maidan “La rivoluzione? È appena iniziata”. Scrive Domenico Quirico:
L’antica città è morta. La città ha mille anni. La sera è stato un lungo crepuscolo giallo. Il cielo ora è venato di azzurro e di infinito. Un sogno da svegli: Kiev rivoluzionaria. Non un popolo esaltato e vincitore, ma dolore e incertezza. Tutto è provvisorio qui: il Parlamento che emana leggi in un palazzo controllato da rivoluzionari armati di bastoni, la pazienza dei giovani di Maidan, i rapporti con la Russia, l’economia sospesa sul baratro… Nel deserto silenzio della notte le campane del museo delle marionette non squillano più cristalline. In giorni come questi si sogna da svegli. All’ingresso delle barricate ci sono ancora sentinelle. Anche se il nemico è fuggito. Lunghe file di lumini guidano nel buio verso i luoghi dove i martiri sono stati uccisi. Enormi mazzi di fiori, montagne di garofani e di tulipani si levano come tumuli tra trincee ormai inutili. Inutili: chissà! Copertoni travi sacchi rifiuti fuochi quieto cielo viottoli di lumini. Che talora si fondono, e formano una sola grande strada. Per questa strada è passata la rivoluzione ucraina. In fondo alle luci sta Maidan Nezalezhnosti, esausta di molte tragedie. Il grande edificio dei sindacati, il quartiere generale della rivolta che avevo visto pulsare di vita: il fuoco lo ha reso bruno, assomiglia a una scenografia teatrale. Fiori e nerume, ti porti dietro la terra di Maidan, la colla dei copertoni bruciati, come se il suo messaggio, la sua voce non volesse lasciarti. Qui sono morti esseri umani. Il bosco invaso da alberi con i tronchi ramati è una liberazione, da lassù si vede il Dniepr non più gelato; e oltre il fiume, oltre le isole e le insenature si scorgono bianchi campanili e ancora più lontane spuntano le nere ciminiere delle officine, e questo è già qualcos’altro. Kiev, rivoluzione. La città di pietra e di barricate di ghiaccio è morta. A ciascuno il suo. Vicino all’hotel Dnipro si riuniscono uomini in tuta mimetica e elmetti di acciaio. I rivoluzionari. E di questi ragazzi ciascuno è prestante, è un bel ragazzo, ciascuno vigoroso con i riccioli della acconciatura cosacca che spuntano sotto l’elmetto inanellandosi alla nuca, ciascuno ha gli zigomi tesi, pieghe ai lati delle labbra e i gesti di ciascuno sono decisi. Non la fai a queste giubbe mimetiche.
La lettera di Ratzinger: “La rinuncia è valida Assurdo speculare sulla mia decisione”:
«Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia» e le «speculazioni» in proposito sono «semplicemente assurde». Joseph Ratzinger non è stato costretto a dimettersi, non l’ha fatto a seguito di pressioni o complotti: la sua rinuncia è valida, la scelta di mantenere il nome e l’abito bianco ha motivi pratici e oggi nella Chiesa non esiste alcuna «diarchia», nessun doppio governo. C’è un Papa regnante nel pieno delle sue funzioni, Francesco, e un emerito che ha come «unico e ultimo scopo» delle sue giornate quello di pregare per il suo successore.
La prima pagina del Fatto Quotidiano: “Il dilettante allo sbaraglio”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Ci è o ci fa?”
Il Giornale: “L’opposizione è il Pd”. Su, Forza Renzi e Forza Italia. Editoriale di Alessandro Sallusti:
lcuni lettori ci scrivono: ma allora, Renzi lo sostenete o lo criticate? I titoli da noi usati in questi giorni («Falsa partenza», «#Matteononstiamosereni » e «Premier furfante») credo dicano chiaramente i nostri dubbi e i nostri sospetti. Perché Renzi, appunto, è un furfante, parola che esprime più simpatia critica che insulto (furfanti sono i nostri figli quando ci prendono in giro, gli amici quando fanno gli affari loro). Mettiamola così. Renzi è il capo del partito della sinistra, quindi non può essere nostro socio. Ma è anche colui che sta cercando, per ora con successo, di smantellare quella sinistra ideologica e radicale che tanto male ha fatto a questo Paese. Noi e lui abbiamo quindi un nemico comune: i comunisti e i post comunisti. Per definizione, il nemico del mio nemico è- se non un amico – quantomeno un alleato. Si tratta di un teorema che trova facili conferme nella storia. L’America di Roosevelt e l’Unione Sovietica di Stalin fecero fronte comune contro la Germania di Hitler pur essendo una all’opposto dell’altra. E in tempi più recenti l’Occidente liberale aiutò un capo comunista, Gorbaciov, che si era messo in testa di smantellare dall’interno il Partito comunista sovietico. Era il 1986 quando Gorbaciov annunciò al mondo la perestrojka , una sorta di rottamazione ante litteram. Fu l’innesco della rivoluzione politica che portò alla caduta dei regimi comunisti e a quella del muro di Berlino.