Il Corriere della Sera: “Le prime mosse europee di Renzi”. La diga utile del premier. Editoriale di Angelo Panebianco:
Non prevista dai sondaggi né, probabilmente, dallo stesso Matteo Renzi, l’entità del successo del Pd modifica il quadro politico. Scelte e strategie dei protagonisti cambieranno, forse radicalmente. Per mettere nella giusta luce quel successo, e per soppesarne i possibili effetti, occorre leggere con attenzione i risultati elettorali.
Sono necessarie due premesse. Non bisogna dimenticare il carattere sui generis delle elezioni europee. Anche se i loro effetti politico-istituzionali sono assai rilevanti (determinano la composizione del Parlamento europeo e le coalizioni che vi si formano), per il grosso degli elettori — non solo italiani — resta confusa, poco chiara la posta in gioco. Ciò spiega la bassa affluenza al voto (nel nostro Paese è stata del 58,6%) e il fatto che le campagne elettorali si concentrino sulle questioni «interne», con pochi, retorici, riferimenti all’Europa. Per i più, le Europee sono un sondaggio che misura le forze dei partiti: si vota pro o contro il governo. In questo senso, Beppe Grillo aveva ragione quando diceva che queste sono elezioni «politiche». Ma con una particolarità: gli elettori sono liberi dai vincoli che li condizionano nelle elezioni nazionali, «non votano con il portafogli», non mettono in gioco i propri interessi, fanno meno calcoli di convenienza. Per conseguenza, se si recano alle urne, sono più propensi a votare «in libertà». Confusione sulla posta in gioco, bassa affluenza, e meno vincoli di convenienza, rendono le elezioni europee non confrontabili con le Politiche. Raramente gli esiti delle prime anticipano gli esiti delle seconde.
La prima pagina de La Repubblica: “Regioni e città, il Pd fa il pieno”.
La Stampa: “Renzi raddoppia e rilancia”.
Il Fatto Quotidiano: “Renzi, la prossima mossa: scardinare i 5 Stelle”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Democrazia Renziana”
Il Giornale: “Forza Italia, la verità”. Editoriale di Alessandro Sallusti:
Matteo Renzi (complimenti al vincitore) è il più furbo di tutti e getta acqua sul fuoco minimizzando un trionfo. Angelino Alfano, che furbo non è, si esalta invece per una sconfitta spacciata per un successo. Fa il duro, Alfano, con Forza Italia («quando sono pronti mi telefonino»),fa l’arrogante con Renzi («siamo un pilastro, il suo non è un governo monocolore»). Urge che qualcuno alzi sì la cornetta, ma per spiegargli che, al netto del decisivo contributo di Casini ( almeno l’uno per cento), il Nuovo Centrodestra si è fermato sotto il tre. Un risultato inferiore a quello degli eroici Fratelli d’Italia, dei comunisti salottieri di Tsipras, meno della metà dei voti della Lega di un ottimo Salvini. In una seconda telefonata lo si potrebbe mettere davanti a un’altra amara realtà. Il governo, in effetti, non è monocolore puro: sul rosso sgargiante del Pd al 40 per cento c’è una macchiolina neppure visibile ad occhio nudo, quella appunto dell’Ndc.
Capiamo l’imbarazzo. Ci saremmo aspettati non dico un mea culpa, ma almeno una autocritica per aver inutilmente mutilato Forza Italia. Riflessioni serie sul passato e, ancora di più, sul futuro. Per esempio, in una terza telefonata, affrontare il tema che il centrodestra non può che ripartire dal 17 per cento di Forza Italia e da Silvio Berlusconi. Il quale non ha alcuna intenzione di disarmare («ripartirò anche questa volta») o di dare il via libera a Renzi su riforme non condivise. Il trionfo di Renzi resta infatti fuori dal Parlamento italiano, dove le riforme o le fanno Pd e Forza Italia, o non vedranno la luce.
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