Renzo Piano compie 80 anni: “Sempre in movimento ma per Genova ci sono sempre”

Renzo Piano compie 80 anni: "Sempre in movimento ma per Genova ci sono sempre"
Renzo Piano compie 80 anni: “Sempre in movimento ma per Genova ci sono sempre”

GENOVA – Buon compleanno a Renzo Piano. L’archistar che tutto il mondo ci invidia compie 80 anni: è nato a Genova il 14 settembre 1937. Festeggerà con un sobrio brindisi, prima nel suo quartier generale di Parigi, al numero 34 di Rue des Archives, in pieno Marais e poi nello studio di Genova, a Punta Nave. Non si fermerà neppure in un giorno così importante con nuovi cantieri che lo attendono a Mosca, alla Columbia di New York e a Beirut. Ma al Secolo XIX l’architetto e senatore a vita confessa: “Per Genova ci sono sempre“.

Intervistato da Andrea Plebe per il quotidiano ligure, Renzo Piano si racconta così:

Architetto, non si riposerà un po’ neanche il giorno del suo compleanno?
«Plinio diceva Nulla dies sine linea, nessun giorno senza una linea, un’espressione poi ripresa da Paul Klee e con la quale è stata intitolata la mostra al Zentrum che abbiamo realizzato a Berna. Prima di andare a insegnare, ogni mattina, appena alzato, Klee realizzava un’opera».

Lei non ha mai insegnato all’Università, però il trasferimento della conoscenza è uno dei temi che la interessano di più. Da dove nasce?
«Vent’anni fa, ho visitato in Giappone il tempio di Ise, che rappresenta un po’ la metafora del ciclo della vita. Ogni venti anni il tempio, realizzato in legno, con alberi di cedro, secondo particolari tecniche, viene demolito e ricostruito. Tra i venti e i quarant’anni è la stagione in cui impari l’arte di costruirlo, scegliendo gli alberi, tagliandoli… a quaranta hai imparato, e lo costruisci. A 60, insegni agli altri, restituisci quello che hai appreso. Il tempio è una scuola di vita: la durata delle cose sta nella ripetizione del gesto, non nella longevità della materia. Un concetto vagamente folle, per noi occidentali. Attraverso l’attività della Fondazione, che ho voluto realizzare a Genova e ha ormai a dieci anni, dove arrivano studenti da tutto il mondo, cerchiamo di trasferire la conoscenza. Non è un gesto di generosità, direi che è naturale, fisiologico. Dai, ma dai giovani prendi anche, perché portano con sé il senso del futuro. Che la Fondazione sia a Genova non è un caso, lì ci sono le mie origini culturali».

L’insegnamento dell’Università non basta, non è sufficiente?
«L’Università deve dare delle nozioni, degli strumenti, ma oltre una certa età, i 22-23 anni, non serve più dare troppe informazioni. L’unica cosa che serve è l’esempio, e la bottega qui funziona meglio. Io sono un educatore un po’ anomalo. Ai giovani dico: abbiate coraggio, buttatevi, prendete qualche rischio. Osate. E così c’è un momento magico in cui, improvvisamente, scopri con straordinaria sorpresa la scintilla della creatività. Quando realizzai la prima mezza cosa che funzionava, me lo disse mio fratello Ermanno. Ti rendi conto e pensi: l’ho scritta io questa frase, l’ho fatto io questo segno, l’ho composta io questa musica, ho capito io come fare uno sgabello… La scoperta di un talento proprio non è legato soltanto a un lavoro intellettuale o di alto livello, ma a qualsiasi attività umana».

Qual è stata la sua scuola?
«Praticare il lavoro di gruppo in questa maniera viene da una vita passata così. Io mi sono laureato a Milano nel 1964, i primi anni delle occupazioni universitarie, ben prima del Maggio ’68 a Parigi. Il lavoro di gruppo allora era il credo, la filosofia, forse anche troppo. Certo, che se uno che si interroga e basta… Io per fortuna facevo una specie di doppia vita: di giorno lavoravo nello studio di Franco Albini, che era il mio maestro, e di sera occupavo l’Università. Ma c’è un momento ancora precedente».

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