Ripresa, Italia. Aziende troppo piccole sotto quota 15, non c’è innovazione

Enrico Moretti
Enrico Moretti

MILANO – Perché l’Italia non cresce? Tutti parlano di riforme, ma le riforme che i politici hanno in mente sono probabilmente l’opposto di quelle che ci vorrebbero.

La risposta è complessa, ma non è fatta di cose ovvie, nell’elenco di Enrico Moretti, docente di Economia a Berkeley, già consulente di Obama, autore di “La nuova geografia del lavoro” .

Intervistato da Andrea Greco per Repubblica, Enrico Moretti dice cose sgradevoli alla vulgata e Andrea Greco, onesto reporter, le elenca con scrupolo, anche se il titolo che gli hanno fatto è un po’ parziale e omissivo:

“La crescita zero non è un caso, mancano legalità e innovazione”.

Estraendo i concetti dall’intervista, ecco l’elenco delle deficienze dell’Italia:

1. aziende troppo piccole per paura dei limiti al licenziamento (articolo 18: c’è ma non si dice) in un mercato del lavoro troppo rigido dove, accanto ai precari, troppi sono gli iperprotetti;
2. industria manifatturiera incagliata in settori a basso margine e tanto lavoro, poco presente nei settori nuovi ad alto valore aggiunto come farmaceutico, biotecnologie, meccanica fine;
3. mancanza di legalità, che non vuole dire che i tribunali giudicano in modo illegale, ma i tempi della giustizia sono arbitrari e impossibili.

Sulla crescita zero, scrive Andrea Greco, non pesa solo la recessione (anche perché dalla recessione sono usciti ormai tutti tranne l’Italia) ma anche e forse soprattutto

“pesano i problemi strutturali. Per Enrico Moretti, bisogna agire in profondità. Da settembre Moretti farà parte della task force voluta dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti per rilanciare l’industria.

Ha detto Enrico Moretti a Andrea Greco:

“Il Pil può riprendersi, come credo farà la produzione anche in Europa, ma all’Italia resteranno problemi strutturali ventennali che la recessione ha approfondito”.

In Italia, il sistema produttivo è antiquato:

“Andava benissimo nel Dopoguerra ma dagli anni ‘80 è sempre meno adatto perché ha bassi livelli di innovazione e si concentra sul manifatturiero tradizionale a bassa produttività, dove salari e occupazione calano per la concorrenza dei Paesi in via di sviluppo. La globalizzazione in 20 anni ha dimezzato i posti in tutte le manifatture occidentali, anche Usa e Germania. Ma là altri settori l’hanno rimpiazzata, mentre l’Italia è poco presente nei comparti nuovi e dinamici: pharma e biotech, tecnologie, meccanica fine connessa all’elettronica”.

Chi sceglie?

“Gli imprenditori, ma reagendo anche agli incentivi. Tra i problemi italiani c’è la taglia delle imprese: le Pmi non sono più un punto di forza, perché non investono in innovazione. Ma l’Italia penalizza la crescita delle imprese: penso alla rigidità del mercato del lavoro oltre i 15 addetti”.

Perché gli investimenti stranieri sono così ridotti?

“La voglia straniera di investire è frustrata dalla mancanza di legalità. Gli investitori Usa mettono al primo posto la certezza del diritto, di recuperare il capitale. Il primo rimedio è rendere normale la legalità. Un altro problema è la carenza del venture capital, specializzato nell’alta innovazione. Non è solo un fatto di soldi, perché veicola saperi e relazioni vitali tra clienti e imprenditori, altro che le banche italiane. Quando vado nelle imprese di Silicon Valley trovo tantissimi italiani. Bisogna farli tornare e trattenere gli altri”.

Il mercato del lavoro è cruciale:

“Bisogna rendere il lavoro meno rigido e meno duale: finché il divario tra garantiti e precari non si riduce, gli imprenditori rimarranno restii ad assumere e a investire in capitale umano, un traino della produttività”.

Probabilmente per Giuliano Poletti e Andrea Greco bisogna ridurre la cosiddetta precarietà mentre per Enrico Moretti bisogna rendere tutti precari e portare all’esterno delle aziende i meccanismi di salvaguardia. Su questo doppio senso, sulla ambiguità di fondo attorno al termine riforme, si gioca tutta la partita della ripresa in Italia.

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