Romilda Bollati, amore di Cesare Pavese, denaro e misteri su Fatto e Corriere

Romilda Bollati, amore di Cesare Pavese, denaro e misteri su Fatto e Corriere
Romilda Bollati: i giornali l’hanno ricordata così

ROMA – La morte di Romilda Bollati ha fatto notizia su molti quotidiani ma non è stata solo la sua vicenda di imprenditrice a fare notizia ma anche un momento molto antico della sua vita sentimentale, l’amore che per lei nutrì Cesare Pavese, in un’era che ormai è preistoria, nel 1950.

“Per quarant’anni Romilda Bollati custodì il segreto di essere la Pierina (vezzeggiativo derivato dal suo cognome, Saint Pierre) di Cesare Pavese, la fanciulla di diciotto anni molto bella che ama ballare e, a differenza di lui, ha il dono di vivere, a cui lo scrittore dichiarava di volere «un falò di bene». Pavese le scrisse due lettere e due biglietti, uno dei quali, pochi giorni prima del suicidio all’hotel Roma di Torino, il 27 agosto 1950. Soltanto nel 1990 Romilda rivelò di essere lei Pierina e nel ‘98 consegnò le lettere a Maria Corti per il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia”,

ha scritto, sul Corriere della Sera, Cristina Taglietti.

Romilda Bollati era diventata un’imprenditrice dopo essere rimasta vedova dell’industriale Attilio Turati che le aveva lasciato in eredità la Carpano e Baratti, due imperi alimentari (poi avrebbe sposato il leader democristiano Antonio Bisaglia, morto poco dopo cadendo in mare dalla sua barca davanti a Portofino).
Giulio Bollati, laureato alla Normale di Pisa, editore – intellettuale protagonista delle migliori stagioni dello Struzzo, «gigante mansueto, affabile», come lo ha definito Ernesto Ferrero, fino al 1979 era stato il braccio destro di Giulio Einaudi (era entrato in via Biancamano nel 1949 come correttore di bozze, fino a diventare direttore generale).

Lei acquistò per il fratello il catalogo (ottocento titoli) del marchio che Paolo Boringhieri aveva fondato nel 1957 acquisendo da Einaudi, dove lavorava come redattore, le quattro collane saggistiche e scientifiche di cui si occupava.

Sotto la guida di Giulio Bollati, che la diresse fino alla morte nel 1996, la casa editrice seppe fondere l’anima iniziale, che copriva la scienza al suo livello più alto, dalla logica alla biologia alla psicoanalisi, con quella umanistico-letteraria, aprendola anche ad altri generi, come la letteratura e la fotografia, nell’ideale di un’editoria che non fosse imprigionata in steccati rigidi.

Rolando Picchioni, presidente del Salone del libro di Torino, ha detto che «Romilda Bollati è stata testimone della fine progressiva della stagione d’oro dell’editoria torinese e della dipartita dei suoi grandi marchi. Una fase che lei ha vissuto con grande rimpianto», anche se la cessione della casa editrice al gruppo Gems non aveva significato lo spostamento della sede a Milano.

Gli ultimi interventi pubblici di Romilda Bollati risalgono al 2009, quando, dopo una trattativa durata mesi (durante i quali resistette all’assedio dei giornalisti che volevano conferma delle voci cominciate dopo le dimissioni del direttore editoriale Francesco Cataluccio), cedette al gruppo Gems di Mauri Spagnol la sua Bollati Boringhieri, mantenendone la presidenza. In quello che definì «un momento tristemente felice» («Lascio una casa editrice “di carattere”, di cui sono fiera, che ha nell’indipendenza culturale la sua cifra più autentica»), ricordò naturalmente il fratello Paolo con cui aveva iniziato nel 1987 l’avventura.
In realtà Romilda Bollati era nata a Parma (nel 1932) e a Torino si era trasferita nel ‘49 seguendo appunto il fratello con cui andò a vivere iniziando così a frequentare il gruppo degli einaudiani, da Calvino alla Ginzburg, da Carlo Levi a Massimo Mila. Della società torinese sarebbe diventata con gli anni una protagonista ammirata per l’energia e le capacità pratiche, unite a un indiscutibile fascino e alla mondanità discreta che praticava (palazzo Carpano, in centro a Torino, è stato uno dei salotti più ambiti da industriali, politici, intellettuali)”.

Sul Fatto, Caterina Soffici ha scritto che

“Romilda Bollati significa cultura. Già nel cognome possiede una parte della storia dell’editoria: la casa editrice Bollati Boringhieri. Ma è anche una parte della storia industriale di un’Italia che sembra lontanissima: il suo primo marito Attilio Turati, era il proprietario della Carpano (quelli del Punt & Mes) e della Baratti, quella delle caramelle. Morto nel 1979, la lasciò erede di un impero di vermuth e dolcetti nelle cartine bianche, i simboli di una Torino industriale ormai morta, dove l’aristocrazia e l’alta borghesia si sposavano (e venivano sfottuti con grazia da Fruttero e Lucentini: vi ricordate La donna della domenica?) Ma dove gli industriali più illuminati avevano anche contatti con il mondo degli intellettuali, il cerchio magico intorno alla casa editrice Einaudi”.

Romilda Bollati era “l’incarnazione” di un un passato ormai remoto della Torino dove industria e cultura si intrecciavano in qualcosa di magico e irrepetibile,

“con un’appendice anche nella cronaca e nei misteri d’Italia: il secondo marito Toni Bisaglia, potente democristiano dell’epoca, morì nel 1984 annegato nelle acque di Portofino cadendo dalla sua barca. La morte fu archiviata come un incidente, ma per anni si trascinò una scia velenosa di congetture e sospetti che si trattasse di altro. Sospetti rinfocolati quando nel 1992 il fratello prete di Toni, don Mario Bisaglia, fu trovato morto in un laghetto di montagna, ufficialmente suicida. La vicenda finì anche in libro, Gli annegati, di Carlo Brambilla e Daniele Vimercati.

“Una storiona tutta italiana, quella di Romilda Bollati, nata a Parma nel 1932 dai baroni di Saint-Pierre e donna bellissima, che fece girare la testa alla Torino bene e anche al povero Cesare Pavese, innamorato non ricambiato, che la conobbe all’Einaudi grazie al fratello Giulio Bollati. Era lei, allora 18enne, la Pierina alla quale lo scrittore, allora 42enne, dedicava parole appassionate:
“L’amore è come la grazia di Dio – l’astuzia non serve . Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falò di bene. Non so se ci vedremo ancora”.
E poi su un altro foglietto: “Ogni tuo ballo è un giorno in meno della mia vita. Me ne restano pochi”.
Pochi giorni dopo questo secondo messaggio, oggi forsa sarebbe stato un sms o un tweet, Cesare Pavese si sparava, a Torino.
Non fu comunque Romilda Bollati la causa del suicidio di Cesare Pavese, ma l’attrice Constance Dowling, che ispirò la premonitrice poesia: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

Prosegue Caterina Soffici:

“Anche la vicenda editoriale legata al nome di Romilda Bollati rispecchia una parte della storia d’Italia, cioè la parabola dell’editoria torinese dalla costellazione di piccoli gioielli prosperati all’ombra dell’Einaudi alla progressiva dipartita verso Milano risucchiati dalla concentrazione industriale.

“Fu Giulio Boringhieri a fondare la casa editrice nel 1957. Arrivava dall’Einaudi portandosi dietro un centinaio di titoli e la volontà di divulgare la cultura scientifica in Italia. Inaugurò anche una collana di etnografia e di storia delle religioni: mito e scienze, a cui si aggiunge poi la filosofia.

“Una scommessa difficile, ma che Boringhieri porta avanti per trent’anni, finché nel 1987 entrano i capitali di Romilda Bollati, che rileva la casa editrice e affida la direzione al fratello Giulio. Bollati aveva una culturaumanistica,eraall’oppostodiBoringhieri, a molti all’epoca si chiesero come sarebbe finita. Finì bene, perché le due anime fecero della Bollati Boringhieri una casa editrice unica. Bollati puntò sulla storia e sulla memorialistica e ne tenne le redini fino alla sua morte, nel 1996. Poi fu Romilda a gestirla, fino al 2009 quando vendette il marchio al Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, che ha riportato in attivo i conti usando con la Bollati Boringhieri la stessa tattica delle altre acquisizioni: 13 case editrici unite sotto un unico tetto, ma ognuna autonoma e indipendente”.

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