ROMA – Carlo Federico Grosso, giurista di nome e padre del riformato codice di procedura penale, sulla Stampa di Torino, dà della sentenza una lettura diversa dalla convinzione prevalente il giorno dopo che a aiutare Berlusconi sia stata la Legge Severino che ha modificato il reato di concussione. Secondo Carlo Federico Grosso, la ragione è più netta e spiega:
“Berlusconi in primo grado era stato condannato per concussione perché avrebbe «costretto» un funzionario di polizia a consegnare Ruby ad una persona alla quale essa, minorenne, non avrebbe potuto essere consegnata, e per prostituzione minorile perché avrebbe avuto consapevolmente rapporti sessuali con una minorenne. La Corte di Appello ieri ha assolto l’imputato dalla prima imputazione «perché il fatto non sussiste», dalla seconda imputazione «perché il fatto non costituisce reato».
“Si assolve «per insussistenza del fatto» – lo lascia intendere lo stesso significato linguistico delle parole – quando si ritiene che il reato contestato non esista, che, in altre parole, i fatti che si addebitano non concretino una condotta penalmente rilevante. Si assolve «perché il fatto non costituisce reato» quando si ritiene invece che il «fatto» sia stato commesso, ma che l’imputato non sia punibile per altra causa, ad esempio perché ha agito in buonafede (senza dolo), o perché era presente una causa di non punibilità (ha ucciso per difendersi). Le due formule, rispettivamente usate dalla Corte di Appello con riferimento ai due capi d’imputazione a carico di Berlusconi, possono pertanto fornirci qualche idea su ciò che è stato deciso in camera di consiglio.
La concussione «non sussiste», è stato decretato. Ciò significa che secondo i giudici l’intervento di Berlusconi, nella famosa serata nella quale egli si è messo in contatto con la Questura di Milano, inviando la fida Minetti a recuperare la ragazza trattenuta in un ufficio di polizia, non ha avuto alcuna valenza «costrittiva» (violenza o minaccia), come esige invece l’art. 317 c.p. che prevede il delitto di concussione (riconosciuto esistente dal giudice di primo grado).
“La Corte, esclusa la «costrizione», avrebbe potuto comunque riconoscere l’esistenza di una «induzione indebita» rilevante ai sensi del nuovo art. 319 quater c.p. (si tratta del reato previsto dalla c,d, riforma Severino, nel quale è stata fatta confluire l’originaria concussione per induzione, che con riferimento alla posizione dell’induttore – salva la pena minore – è assolutamente identico alla fattispecie originaria di concussione per induzione, e risultava pertanto, in astratto, sicuramente applicabile nel caso di specie).
“Si vede che la Corte, escluso che nel comportamento di Berlusconi fossero rinvenibili profili di minaccia, ha escluso altresì che vi si potessero rinvenire profili di semplice induzione di soggetti pubblici a compiere alcunché d’illecito.
Diverso è il caso della prostituzione minorile. [Sembra] che la Corte di Appello abbia ritenuto che il «fatto», cioè la relazione dell’imputato con la giovane ragazza, vi sia stato. Che tale relazione non costituisca tuttavia reato (verosimilmente) perché mancava il dolo, cioè la percezione della minore età della sua partner da parte dell’attore maschile”.
Sulla linea di Carlo Federico Grosso anche Luigi Ferrarella del Corriere della Sera, cronista giudiziario molto competente e preparato, che aggiunge una notizia per Berlusconi da brivido e anche per i tanti maiali in circolazione:
“La medesima condotta del 2010, se commessa dopo l’entrata in vigore nell’ottobre 2012 della ratifica della Convenzione di Lanzarote del 2007, non sarebbe più stata scriminata, posto che da allora il cliente di una prostituta minorenne non può più invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa minorenne, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile, cioè non rimproverabile quantomeno a titolo di colpa”.
Ma il tema centrale è quello della concussione,
“reato del pubblico ufficiale che abusa della sua qualità per costringere qualcuno a dargli indebitamente una utilità. Qui Berlusconi è stato assolto con la formula «perché il fatto non sussiste», segno che per i giudici non ci fu costrizione dei funzionari della Questura. E nemmeno vi fu una loro «induzione indebita», fattispecie tipizzata nel 2012 dalla legge Severino che, se ieri fosse stata sposata dai giudici, avrebbe condotto a riqualificare il reato e ricondannare l’ex premier, sebbene a pena inferiore.
“Sin dall’inizio la concussione era statisticamente impervia visto che (nel caso propugnato dai pm Ilda Boccassini e Antonio Sangermano) la persona «costretta» dal pubblico ufficiale (il premier Berlusconi) era anch’essa un pubblico ufficiale (il capo di gabinetto della Questura). Non è un caso, dunque, che in questi giorni sia l’arringa dei difensori Franco Coppi e Filippo Dinacci, sia i tavoli dei giudici avessero (oltre alla sentenza delle Sezioni Unite su concussione/induzione) un libro in comune: quello di Gianluigi Gatta (professore associato di diritto penale alla Statale di Milano, «scuola» Marinucci-Dolcini) sulla condotta penalmente rilevante di «minaccia».
“Muovendo dall’osservazione del giurista Carrara sulla matrice latina del termine «concussione» («l’idea dello scuotere un albero per farne cadere i frutti»), lo studioso nel 2013 propendeva per l’idea che la minaccia, per essere presupposto di una concussione, dovesse essere un fatto aggressivo/prevaricatore ben diverso dal mero timore reverenziale che il soggetto passivo può provare nei confronti del superiore gerarchico, all’interno della propria condizione psicologica e senza che questo timore reverenziale sia determinato dalla minaccia esterna del soggetto attivo.
“Coppi aveva perciò sostenuto che, «se il concusso è idealmente solo chi sia preso per il collo e messo spalle al muro di fronte a un aut-aut, sotto inesorabile minaccia, questo non è il caso di Ostuni, i cui moti interni non dipendono dalla condotta di Berlusconi, ma dalla soggezione psicologica verso chi ha ruolo superiore. Chi non ha il coraggio di dire no, non è protetto dal diritto: se Ostuni al massimo si è sentito condizionato dalla richiesta di Berlusconi, se ha avuto timore reverenziale verso chi magari ha pensato di compiacere, questi (lo dico elegantemente) sono fatti suoi, non ricollegabili a una minaccia di Berlusconi»”.
Ezio Mauro, direttore di Repubblica, il giornale che ha guidato la crociata contro Berlusconi e non solo per il caso Ruby, è a dir poco sorpreso della sentenza:
“Oggi la Corte d’Appello sanziona che non c’è stata concussione nella telefonata in cui il presidente del Consiglio ordinò al capo di gabinetto della questura di Milano di consegnare immediatamente e nottetempo la ragazza Ruby ad una vedette del bunga-bunga spacciata per “consigliere ministeriale”: che appena dopo averla sottratta alla polizia abbandonò la minorenne da una prostituta brasiliana”.
L’assoluzione, secondo Ezio Mauro, è figlia di un magheggio delle larghe intese all’epoca del santo (per Repubblica) Mario Monti e in questo sembra di idea opposta a Carlo Federico Grosso:
“Il fatto non sussiste, anche perché nella riforma approvata in fretta e furia all’epoca del ministro Paola Severino la fattispecie della concussione si restringe e occorre dimostrare un vantaggio per il funzionario concusso”.
L’assoluzione non è un salvacondotto per la beatificazione. Ezio Mauro ci ricorda che Berlusconi non è un santo. Basta pensare al
“pesante percorso giudiziario del Cavaliere, già condannato definitivamente a quattro anni per frode fiscale nel processo Mediaset e oggi indagato a Milano nel caso Olgettine per corruzione in atti giudiziari, imputato a Napoli per la compravendita di senatori nel processo De Gregorio, sotto richiesta di rinvio a giudizio a Bari per aver pagato Tarantini inducendolo a mentire sulle escort”.
È una
“vulnerabilità costante che spinge ogni volta un Capo di governo a sporgersi oltre il limite alzando la posta dell’abuso per i potenziali ricatti, imprigionato in una rete evidente di richieste esose, traffici pericolosi, intermediari vergognosi, pagamenti affannosi, e il contorno di taglieggiamenti incrociati di profittatori e mezzani come Lavitola e Tarantini”.
A questo punto però sposta lo scontro dall’aula di giustizia alla politica:
“Non si tratta più di ipotesi criminali, dopo la sentenza d’appello. Si tratta tuttavia di interrogativi logici e perfettamente legittimi, soprattutto se riguardano un leader politico che al momento aveva anche responsabilità di governo. Nulla di moralistico, come dicono i cantori, nulla di voyeuristico. Siamo dentro il territorio pieno della politica, del profilo pubblico di un Primo Ministro, dell’uso privato che fa della sua carica e del suo peso istituzionale”.
Sul piano politico, alla luce di dove è arrivato il percorso giudiziario, forse sarebbe giusta una riflessione sulla opportunità appunto politica dell’inchiesta, che ha contribuito a aggravare nel mondo l’immagine negativa di cui l’Italia già gode, non sottoponendo a indagine fatti vergognosi e noti, ma scavando per divulgare dettagli di una vicenda vergognosa. Ezio Mauro non sembra dell’avviso e la sua abilità dialettica e la sua convinzione granitica sostengono come hanno sempre sostenuto un ragionamento esattamente capovolto.
Poi dà voce a un dubbio che sembra tormentarlo, anche se la risposta è implicita e la domanda retorica:
“Resta tuttavia da spiegare la ragione di tanta fretta e di un così grande affanno, i motivi di quelle bugie enormi, il terrore che Ruby restasse in mano alla questura o nella tutela del tribunale dei minori, la necessità di costruire ad ogni costo non un aiuto alla ragazza (la prostituta brasiliana non può esserlo) ma una scappatoia notturna a interrogatori, domande, possibili risposte. Perché questa impalcatura avventurosa, quest’ansia notturna che spinge un presidente del Consiglio ad interferire nelle procedure abituali della polizia dopo un furto, a far balenare addirittura un incidente diplomatico, a mandare una fidatissima olgettina a “esfiltrare” Ruby dalla questura per poi subito abbandonarla a missione evidentemente compiuta?”.
Per Stefano Folli sul Sole 24 Ore, “ci sono ragioni tecniche ma anche politiche” che spiegano la sentenza.
“Sul piano tecnico, la nuova strategia difensiva e l’autorevolezza di Franco Coppi, coadiuvato da Filippo Dinacci, hanno fatto la differenza. Torna in mente il consiglio che dalle colonne dell’Unità Giovanni Pellegrino una volta aveva dato al grande imputato: «Cavaliere, cambi gli avvocati». Ma c’è da domandarsi, è ovvio, quanto abbia pesato sulla decisione dei giudici il clima che si respira oggi nel Paese.
“A condizione di non dimenticare tuttavia che il capo del centrodestra sta scontando la pena definitiva per la frode fiscale Mediaset e che almeno un altro procedimento è in corso (a Napoli, per la cosiddetta compravendita dei parlamentari). Sono aspetti che vanno ricordati per non cadere nell’errore di credere che l’assoluzione sul caso Ruby abbia cancellato per incanto l’intero contenzioso fra l’ex premier e il potere giudiziario. Non è così.
“Peraltro, come si è detto, i tempi cambiano. Il Berlusconi di oggi non è quello di due anni fa […] è sopravvissuto al suo ciclo politico. Il famoso “patto con il Nazareno” non è un accordo fra uguali, da potenza a potenza. È piuttosto asimmetrico: da un lato il giovane leader emergente che ha preso il 41% alle europee, dall’altro l’anziano politico che non ha in mano carte di ricambio.
“D’ora in poi il ruolo politico di Berlusconi tenderà a essere in ogni caso subordinato a quello di Renzi. È l’attuale presidente del Consiglio a condurre il ballo. Berlusconi ne ricava in cambio una sorta di riconoscimento pubblico, tanto più che ora gli è stato restituito l’orgoglio.
“Un’uscita di scena morbida, e mai del tutto definita in termini conclusivi, che gli consentirebbe, chissà, di tenere sotto controllo almeno un segmento del centrodestra. E di continuare a investire su Renzi, il figlio politico”.
Massimo Gramellini, sulla Stampa non va per perifrasi:
“Dunque non era un reato, ma solo una gigantesca figura di m. Prima che, sull’onda della sentenza di assoluzione, l’isteria superficiale dei media trasformi il fu reprobo Silvio in un martire, ci si consenta (direbbe lui) di ricordare che il bunga bunga potrà anche essere legale, ma rimane politicamente incompatibile con un ruolo istituzionale quale quello che il sant’uomo rivestiva all’epoca dei fatti”.
Fin qui il ragionamento è ineccepibile. Quel che segue è il classico autolesionismo italiano:
“Tocca ricorrere al solito esempio stucchevole, ma non c’è purtroppo altro modo per fare intendere a certe crape giulive il nocciolo della questione. Se il capo di qualsiasi governo occidentale, poniamo Obama, avesse telefonato dalla Casa Bianca a un funzionario della polizia di New York per informarlo che la giovane prostituta da lui fermata per furto era la nipote del presidente messicano e andava subito consegnata a Paris Hilton invece che ai servizi sociali – e si fosse poi scoperto che Obama medesimo nella sua casa privata di Chicago si intratteneva in dopocena eleganti con la medesima prostituta e una fitta schiera di «obamine» – forse il presidente americano sarebbe stato costretto a dimettersi l’indomani, ma più probabilmente la sera stessa”.
Anche se le vicende hanno caratteristiche diverse, Gramellini dovrebbe ricordare che Richard Nixon, messo sotto processo non per delle puttane ma per avere fatto spiare gli uffici del partito avverso, non ci ha proprio pensato a andarsene, lo hanno dovuto cacciare. E Bill Clinton, processato per avere indotto a rapporti orali una stagista di 19 anni nel suo ufficio alla Casa Bianca, ha resistito fino alla fine, quando l’impeachment coincideva ormai con la fine del mandato.
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