Il Corriere della Sera: “Saccomanni: basta con il tiro al bersaglio”. Osare di più è necessario. Editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi:
Qualche anno fa, ne l 2007 , scrivemmo un pamphlet dal titolo volutamente provocatorio «Il liberismo è di sinistra» (Il Saggiatore). Il messaggio era questo. Aprire alla concorrenza attività economiche protette , ad esempio alcuni servizi come la raccolta dei rifiuti urbani, o varie professioni; eliminare sussidi che tengono in vita imprese inefficienti; premiare la meritocrazia sul serio, cioè punendo chi non si impegna per far posto ai più meritevoli; liberalizzare il mercato del lavoro, aprendolo così anche ai giovani; facilitare il lavoro femminile con una tassazione differenziata per le donne; ridurre il peso distorsivo dello Stato; abbandonare il mito della politica industriale in cui lo Stato agevola questo o quel settore; legare al livello di reddito dell’utente il costo di servizi pubblici oggi offerti gratuitamente a chiunque, compresi i più ricchi. Tutte queste sono riforme che dovrebbero essere proprie di una «sinistra moderna». Un modo per «difendere il capitalismo dai capitalisti» e dalle lobby, compresa quella della finanza, parafrasando il titolo di un libro di Raghuram Rajan e Luigi Zingales. Il liberismo è «di sinistra» — lo ripetiamo, il titolo era provocatorio — quando riduce privilegi non basati sul merito e favorisce la mobilità sociale, che in Italia rimane molto bassa.
Le tensioni che si scaricano sul ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, sono emblematiche. Confermano la centralità del suo ruolo, e in parallelo la difficoltà di ricoprirlo e di sostituirlo. Il modo in cui ieri i seguaci del segretario del Pd, Matteo Renzi lo hanno attaccato, chiedendo «un ministro politico», per poi precisare che non ne chiedevano le dimissioni, fotografano la contraddizione. Nelle parole di Dario Nardella si è colta l’insoddisfazione per una strategia economica che non sta ancora dando i risultati sperati; e insieme il timore che affondando Saccomanni il Pd possa essere accusato di destabilizzare il governo di Enrico Letta.
L’ipotesi di un rimpasto galleggia sullo sfondo come occasione per rafforzare un esecutivo soggetto a tensioni interne ed esterne. Ma l’episodio di ieri probabilmente porta acqua al mulino di quanti, a cominciare dal premier, temono che cambiare ministri in una situazione così precaria possa aprire conflitti senza fine. Lo stesso vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano, ieri lo ha liquidato come una non priorità del 2014. Il timore di palazzo Chigi che il rimpasto possa essere il cavallo di Troia di una crisi di governo, rimane; come rimane a proposito di una riforma elettorale che Renzi vorrebbe a tappe accelerate.
Si allungano i tempi per la nomina di coordinatore unico di Giovanni Toti al vertice di Forza Italia. E la via per la scalata alla poltrona più alta del partito del direttore di Tg4 e Italia Uno si complica.
Da quando mercoledì pomeriggio si è sparsa la notizia della nomina imminente e fino a ieri sera, una processione ininterrotta di alti dirigenti forzisti con il morale a terra e tante recriminazioni ha scandito le ore di un Silvio Berlusconi sempre più innervosito. «Non ce la faccio ad ascoltare solo lamenti, qui sembra che ognuno pensi solo per sé. Io non voglio rottamare nessuno, ma è indispensabile dare un senso di movimento e di rinnovamento al nostro partito» ha ribadito a tutti quelli che gli chiedevano di andarci piano, di non fare mosse azzardate, di non mettere uno che «non conosce il partito, non sa niente di come si guida una struttura come la nostra» a capo di tutti gli altri che «si fanno il mazzo da anni per te, presidente… Non puoi umiliarci, con tanta gente scontenta rischi che molti sbattano la porta e se ne vadano…». Parole ripetute da tanti nel partito, da Verdini a nome di tutti, che certo hanno segnato Berlusconi ma che non sembra lo abbiano convinto a desistere.
Cantiere aperto nel Movimento nel 2014, al varo le nuove Parlamentarie. Obiettivo dichiarato: le Europee di maggio. Un punto d’arrivo a cui i Cinque Stelle mirano per bissare possibilmente il successo elettorale dello scorso anno, senza però ripeterne gli errori. Sul banco degli imputati sono finiti in primis i criteri di selezione dei parlamentari (un minuto di presentazione web e curricula erano gli elementi cardine), che non hanno soddisfatto nessuno. Nonostante siano convinti fosse una buona idea sperimentale, perfettamente in linea sul piano teorico con gli ideali di uguaglianza pentastellati, strateghi e fedelissimi vedono le Parlamentarie 2012 come il tallone d’Achille che ha permesso di imbarcare troppi dissidenti a Roma. La base ne ha più volte evidenziato i limiti su carenza di rappresentatività per chi si muove da attivista doc e non salta banchetti o altri eventi. Da mesi si sta studiando un correttivo, un modo per mettere in lista candidati «Cinque Stelle doc» per Bruxelles.
Secondo indiscrezioni, sembra stia guadagnando terreno l’idea di un sistema a doppio turno: il primo su base regionale, il secondo, invece, riguarderebbe la circoscrizione di appartenenza. Questo sistema, in pratica, fungerebbe da filtro selezionatore, permettendo di far convergere le preferenze nel ballottaggio verso i militanti più apprezzati e riducendo i rischi di «meteore del Movimento». Un secondo motivo che spinge a una doppia scrematura è il fatto che il numero di candidati per le Europee sarà drasticamente inferiore rispetto alle centinaia di persone in lista alle Politiche: poche decine in tutta Italia.
«Ecco i cretini!», si sente gridare dalle auto sui fan di Dieudonné in marcia verso lo spettacolo mancato. Siamo appena fuori Nantes, nella zona dell’Ikea e degli ipermercati, e qualcuno tornando a casa dopo la spesa si toglie la soddisfazione di stuzzicare i ragazzi della quenelle: «Soldi del biglietto buttati, ben vi sta», «buffoni», «siete dei poveretti», ma loro non fanno una piega, anzi sembrano compiacersi di essere così lontani dall’odiato pensiero comune. Lo show è stato infine cancellato dal Consiglio di Stato a Parigi, la polizia blocca l’accesso al palazzetto dello sport ma il pubblico di «Dieudo» cammina lungo la tangenziale e poi nel fango di un prato per raggiungere, finalmente, lo Zénith del tutto esaurito, la piccola terra promessa dove almeno stasera gli «antisistema», come dicono loro, sono maggioranza.
Cinquemila 600 persone avevano pagato 43 euro per sentire un’ora e passa di insulti contro l’universo e in particolare gli ebrei, e ora che all’ingresso si trovano davanti gli agenti Crs in tenuta antisommossa, con Dieudonné bloccato dentro, decidono di farlo loro, lo spettacolo.
La prima pagina di Repubblica: “Marchionne: ecco il futuro della Fiat”.
La Stampa: “Renzi-Letta: prove di disgelo”.
“Stamina, nelle cellule dosi per topi”. Scrive Paola Russo:
Il protocollo Stamina garantisce dosi di cellule staminali adatte ai topi, non certo sufficienti ad avere un qualche effetto benefico sull’uomo. L’ennesima bocciatura al «metodo Vannoni» spunta da nuovi verbali della prima commissione di esperti che ha bloccato sul nascere la sperimentazione. E mentre sulla attendibilità della presunta terapia calano nuove ombre sembra tramontare l’idea di testare i misteriosi preparati a Miami, dove il professor Camillo Ricordi si è da tempo offerto di verificare grado di purezza e sicurezza delle staminali utilizzate a Brescia.
Il Fatto Quotidiano: “Scandalo De Girolamo. I partiti: non se ne parla”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Scajoletta”
Il Giornale: “Fuga dal governo”. Al peggio non c’è ancora fine. Editoriale di Vittorio Feltri:
Di fronte agli accadimenti degli ultimi giorni, anche il cronista politico più scafato, e avvezzo a narrare le peggiori storie del Palazzo, è in difficoltà perfino a scegliere le parole meno amare. Il Paese è in ginocchio da parecchio tempo e il governo, che avrebbe dovuto gestire l’uscita dall’emergenza, si è rivelato incapace di intendere e di volere. Agisce a capocchia. Pasticcia sulle tasse, tant’è che gli italiani non sanno ancora quanto e quando devono pagare. Assume iniziative grottesche a riguardo degli insegnanti, cui chiede rimborsi assurdi, salvo pentirsene subito dopo, coprendosi di ridicolo. In sintesi: inanella una figuraccia appresso all’altra. Il ministro Fabrizio Saccomanni, cooptato nell’esecutivo quale tecnico ed esperto di conti nonché di bilanci, in realtà sembra un dilettante allo sbaraglio, e i suoi colleghi, invece di parargli le terga, lo prendono a calci nel sedere come se fosse un fastidioso intruso. Il premier, cui erano state attribuite doti speciali di manovratore accorto, dà l’impressione di essere nel marasma totale e di non sapere a quale santo votarsi. Un minimo di dignità, anche personale, che sicuramente non gli manca, dovrebbe indurlo a dimettersi non solo da Palazzo Chigi, ma pure dal Parlamento. Si è invocato tanto l’avvento dei quarantenni in sostituzione dei vecchi barbogi e ora, davanti alle loro opere, modeste per non dire scandalose, financo i progressisti più spinti rimpiangono i bei tempi andati (che non ci sono mai stati) e sperano in un ritorno al passato remoto. Alcune settimane orsono gran parte della sinistra brindò alla vittoria di Matteo Renzi: finalmente qualcosa si muove in avanti, il Pd risorgerà e conquisterà consensi su tutto il fronte, di qua e di là. Che emozione, dicevano ebbri di gioia i compagni, arriva il cambiamento.