“Scajola diede scorta a Gheddafi jr ma non a Marco Biagi”, l’accusa di Bertolami

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Maggio 2014 - 10:35 OLTRE 6 MESI FA
"Scajola diede scorta a Gheddafi jr ma non a Marco Biagi", l'accusa di Bertolami

Scajola (LaPresse)

ROMA – Era il 19 marzo del 2002 quando morì il professore Marco Biagi. Morì senza una scorta, assassinato dalle nuove Br a Bologna. Nonostante le continue minacce, lo Stato, con Claudio Scajola in quegli anni ministro dell’Interno, decise di non rinnovare la protezione.

Una scelta che avvenne subito dopo che l’ex ministro, ora in carcere, firmò una circolare datata 15 settembre 2001 e controfirmata dall’allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro, che prevedeva la riduzione del 30 per cento delle scorte sul territorio nazionale.

L’oggetto della circolare era: “Revisione e rimodulazione delle misure di protezione individuali e di vigilanza degli obiettivi.” Marco Biagi venne messo fuori dalla lista degli scortati e con lui alcuni magistrati di Palermo e la pm milanese Ilda Boccassini. Da quel giorno era atteso un cambiamento radicale per quanto riguardava la gestione delle scorte. Ma nulla cambiò, ad eccezione che Biagi, che Scajola definì “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”, morì abbandonato dallo Stato. Questa definizione costò a Scajola le dimissioni avvenute il 4 luglio 2002. Per poi ritornare in politica il 31 luglio 2003 quando Berlusconi lo chiamò nel governo come ministro per l’attuazione del programma.

Scrive Valeria Pacelli sul Fatto Quotidiano:

Ma cosa prevedeva la circolare sulle scorte del 2001? Prevedeva “la assoluta necessità di rivedere, in una logica di razionalizzazione e di ottimizzazione delle risorse, i criteri di distribuzione e di impiego delle forze di polizia secondo priorità che vedono privilegiare i settori della prevenzione e del controllo del territorio”; e che “qualora le persone destinatarie dei servizi di protezione ravvicinata debbano recarsi in altra provincia (…) non sarà consentito l’invio in missione di operatori di polizia della sede di provenienza (…) Non è consentito agli operatori di polizia addetti alla sicurezza di seguire all’estero la persona protetta”.

Queste disposizioni non sempre sarebbero state rispettate. E lo ricorda bene chi era operativo in quegli anni, come Filippo Bertolami, oggi segretario regionale per il Lazio del sindacato di polizia Anip Italia Sicura e nel 2001, vice dirigente del reparto scorte. Bertolami spiega al Fatto che segnalò diverse irregolarità nella gestione delle scorte e delle modalità di affidamento: “Invece di ridursi, servizi e risorse impiegate, come auto e straordinari, aumentavano”. Una delle vicende denunciate ormai 13 anni fa riguardava gli uomini di scorta consegnati all’allora governatore della Sicilia, Totò Cuffaro. Per accompagnare Cuffaro in Toscana nel week end lungo dell’Immacolata con la famiglia, furono messe a disposizione due macchine blindate, come riportano le ordinanze di servizio n.13473 del 4/12/2001 e n.13632 del 17/12/01.

A beneficiare di maggiore protezione sarebbe stato anche il senatore a vita Giulio Andreotti. Ad Andreotti era consentito di avere quattro uomini sul pianerottolo di casa, a corso Vittorio Veneto a Roma. Anche Francesco Storace finì al centro di una segnalazione. Sarebbero state fornite all’ex governatore del Lazio, 7 persone di scorta che ammontavano straordinari per 130 ore al mese. In una relazione del 28 luglio 2001 si spiega che ogni anno gli agenti di scorta dovevano seguirlo in Sicilia accumulando altri straordinari, riposi, spese di trasferta. Storace, dopo aver annunciato preventivamente querela, spiega: “Pagavo tutto io alla scorta, sia gli alberghi, che da mangiare. Voi scrivete un pezzo inconsistente e andate a trovare chissà cosa del 2001”. E poco dopo con un sms aggiunge: “E comunque la scorta non ce l’ho da una vita. Per fortuna”.

Nel 2001 non fu negato un buon trattamento neanche a Saadi Gheddafi, figlio del despota libico ed ex calciatore in Italia, ora sotto processo in patria. Ad agosto del 2001 Saadi risiedeva all’Hilton di Roma. Quando Saadi Gheddafi arrivò in Italia quell’anno fu ricordato anche per aver aggredito tre poliziotti e due bodyguards. Sono questi alcuni episodi avvenuti dopo che erano state emanate una serie di direttive poi definitivamente confermate da Scajola che emanò quella circolare che “quasi mai è stata rispettata”, ci spiega Filippo Bertolami, aggiungendo come “ci sia stata rilevante responsabilità di Scajola, almeno in quegli anni soprattutto per il suo ruolo di ministro dell’Interno, ma anche dei suoi successori, dei capi della Polizia e dei prefetti che questi anni non sono riusciti a raggiungere l’obiettivo di ridurre i servizi di scorta. Gli agenti – conclude – ancora oggi ci costano parecchio. Per le scorte spendiamo 250 milioni di euro l’anno, quindi in 13 anni si sarebbe potuto risparmiare almeno un miliardo di euro”.