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Sergio Cofferati al Fatto Quotidiano: “Contro Renzi neocentrista una sinistra dei 100 fiori”

di FIlippo Limoncelli |20 Luglio 2015 8:25

Sergio Cofferati (LaPresse)

ROMA – Sergio Cofferati spiega a Salvatore Cannavò del Fatto Quotidiano la scelta di lasciare il Pd, i progetti, l’attenzione per Fassina e Citati, ma soprattutto gli errori da non commettere più.

Siamo all’anno zero della sinistra?

No, ma c’è una crisi profonda in tutta l’area progressista, da anni. Il paradosso è che questa crisi comincia con l’affermarsi della globalizzazione mentre la sinistra si riconosceva nel motto: “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Ma invece di difendere ed esalta-re i diritti, lo stato sociale, l’intervento pubblico, si è pensato che lo Stato fosse un ostacolo alla crescita e sviluppo.

Una sinistra vittima del blairismo?

Per paradosso, quando gli Stati Uniti hanno cominciato a pensare a forme di protezione delle persone in Europa prevaleva la Terza Via.  Ha prevalso l’ideologia del privato in attività che, invece, necessariamente sono pubbliche. La difesa dell’acqua come bene comune è stata necessaria proprio perché c’era in atto un tentativo di privatizzarla. Nel lavoro è prevalsa l’ideologia della flessibilità. Queste cose sono capitate in un arco di tempo ristretto e la sinistra invece di difendere quei valori ha cominciato a balbettare oppure è restata a metà del guado o, ancora, si è fatta prigioniera di teorizzazioni non diverse dai liberisti. Si è svuotato il riformismo. Nell’arco di tempo indicato, gli ultimi venti anni cir ca, ci sono stati diversi tentativi a sinistra: la Rifondazione di Cossutta e Bertinotti, il progetto dei Ds di D’Alema e Veltroni e poi l’Ulivo di Romano Prodi.

Cosa non ha funzionato?

Rifondazione comunista è stata segnata dal prevalere dell’ideologia sulla proposta politica e da una certa teorizzazione della priorità dell’opposizione rispetto alla priorità del governo. L’idea che l’ha dominata è stata quella che fosse più semplice cambiare o conservare con battaglie di opposizione piuttosto che con la sfida del governo. I Ds sono stati il partito in cuisi è giocata la sfida tra D’Alema e Veltroni. In quel partito c’erano valori di riferimento importanti ma alla fine ha prevalso una rinuncia acritica delle idee keynesiane in economia. (…)

Renzi è di si sinistra?

Il Pd si è allontanato dalle ragioni per le quali è nato e c’è una trasformazione costante del suo profilo che non può essere definito più un profilo di riformismo forte. Sui temi cruciali prevale un orizzonte neocentrista che porta all’oscuramento di alcuni valori: il valore sociale del lavoro, il progressivo indebolimento delle protezioni sociali soprattutto verso i più deboli. Si sono aperti varchi nei quali si proietta la destra populista e che non trovano dall’altra parte una risposta in grado di coinvolgere e affascinare. Questo spazio deve essere assolutamente riempito da una sinistra moderna che abbia i valori di riferimento da cui far discendere delle politiche.

Parla molto di valori e di po-litiche che li traducano. Ci fa un esempio?

Il tema del reddito garantito non può essere liquidato con l’affermazione che “costa troppo”. Certo che costa ma in una società frantumata c’è bisogno di arricchire il welfare con uno strumento universale che contrasti la povertà. Prima va stabilito se il valore della universalità è condiviso e se la protezione di chi è in difficoltà è un valore. Invece, penso al Jobs Act, oggi perde la garanzia della dignità del lavoro.

Esiste uno spazio ampio a sinistra?

Sì, e non è misurabile con il dato elettorale. Il vero problema è la crescita dell’astensionismo che riguarda l’elettorato più debole e la sinistra. In parte è compensato dal voto verso il M5S ma solo in piccola parte, basti pensare all’Emilia Romagna con il suo 37% di partecipanti al voto. La tendenza al non voto è cresciuta e non si è arrestata: l’Emilia è stato il caso più eclatante ma anche negli appuntamenti successivi, penso alla Liguria, si è rimasti sotto il 50% (…)

Diversi volti in procinto di riempire questo spazio: Fassina, Civati, Vendola, Ferrero. Sono assemblabili?

Io penso che sia la stagione dei cento fiori. Il tempo di lavoro è lungo. Se la discussione par-te dal contenitore non si va da nessuna parte. In uno spazio così grande c’è tempo e ruolo per tutti e credo che sia indispensabile per chi ha una storia pregressa la generosità. Si tratta di costruire una nuova classe dirigente. I compiti più importanti non possono essere assegnati dalla mia generazione. Poi, alle elezioni, si possono trovare di volta in volta soluzioni diverse.

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