ROMA – “E adesso – scrive Franco Ordine sul Giornale – cosa racconterà Maurizio Zamparini, presidente del Palermo, e celebre fustigatore dei costumi del calcio italiano oltre che autore di perfidi giudizi tecnici?”
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Per Salvatore Sirigu, 27 anni, natali in Sardegna nella terra di mezzo tra Barbagia e Costa Smeralda, portiere del Palermo ceduto al Psg, ne diffuse uno, non proprio raffinato, che sembrava più una scudisciata sulla carne nuda: «Per farlo uscire dalla porta, bisogna prenderlo a calci in culo! ».
Totò Sirigu incassò senza replicare. E non solo perché da sardo fatto e finito, non ha mai amato parlare molto, fare polemica e rintuzzare qualche critica. Appena le sue imprese parigine divennero spine nel fianco del presidente, Zamparini con sprezzo del ridicolo, osò spingersi anche oltre. «Quando Leonardo mi ha telefonato per chiedermi di Sirigu ho stappato lo champagne». Non era vero e mal gliene incolse. Di sicuro, lo champagne hanno cominciato a stapparlo a casa-Sirigu dopo il battesimo mondiale con gli inglesi, superato a pieni voti, ricevuta la benedizione di Buffon, appena uscito di scena con una rovinosa distorsione alla caviglia. Parare, in effetti, non è mai stata l’autentica vocazione del giovanotto che proprio a Palermo scelse il numero 46 sulla maglia per la passione nei confronti di Valentino Rossi.
Da bimbo voleva fare il centravanti e divertirsi con qualche gol, un volgare attacco d’asma consigliò genitori e tecnici a cambiargli ruolo: meglio in porta dove non deve correre tutto il tempo. E così Totò Sirigu si è ritrovato portiere, rispettando la trafila classica, settore giovanile, primavera e poi l’approdo a Palermo dove l’incontro con Walter Zenga, uno che di portiere se ne intende di sicuro, risultò la svolta professionale. Appena sbarcato a Palermo, Walterone tagliò il nodo con un colpo netto: in panchina Rubinho, un brasiliano dalle mani d’argilla, promosso in porta Sirigu, quello che «per farlo uscire bisogna prenderlo a calci in culo», sfidando l’ira di Zamparini che poi fece cassa cedendolo in Francia. Sirigu ha il dono dei sardi: svelto di pensiero, poco incline alla polemica. Mai una replica, mai una risposta nemmeno ironica dinanzi a quei giudizi taglienti come lame di rasoio. Si concentrò sul suo lavoro, provvide a migliorare il tempo delle uscite concedendosi qualche licenza solo nelle amicizie femminili per le quali i complimenti sono d’obbligo.
A Parigi l’hanno visto vincere al fianco di Ancelotti e Ibra, ripetersi con Blanc e accompagnarsi a un’attrice di bellissimo aspetto senza destare scandalo. L’esordio a Manaus gli è finito addosso come un secchio di ghiaccio e lui, raccontano le cronache di Mangaratiba, non ha fatto una piega. Ha raccolto i guanti, scaldato i muscoli e raggiunto l’arena amazzonica dove ha risposto colpo su colpo alle punture inglesi. È vero: ha fallito un paio di uscite, altre le ha realizzate alla perfezione, secondo il manuale perfezionato in Francia. Ha parato soprattutto, ha parato bene ripetutamente, sempre a sinistra, il suo lato preferito. Può sembrare una battuta ed è invece una caratteristica tecnica. Da quella parte ha parato e respinto, una, due, tre volte fino al punto da far passare inosservata l’assenza del numero uno e capitano, Gigi Buffon. A destra ha tradito qualche incertezza in più, salvato da un paio di sfondoni degli inglesi. Speriamo non se ne accorga Renzi.