La solitudine di Renzi trincerato al governo. Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano

La solitudine di Renzi trincerato al governo. Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano
La solitudine di Renzi trincerato al governo. Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano

ROMA – “Che sia affaticato è normale: gira come una trottola da settimane – scrive Marco Palombi del Fatto Quotidiano – Che questo lo renda a volte meno brillante è fatto che consegue direttamente dal primo. Che invece quella macchina da comizio e da tv che è Matteo Renzi – per di più da presidente del Consiglio – affrontasse una campagna elettorale non riuscendo a dominarla e senza dettarne l’agenda è abbastanza sorprendente”.

Gli manca, ad oggi, il colpo d’ala: il “derby tra la paura e la speranza” non funziona. Di più: questo duello a due con Beppe Grillo – stante la fine del ciclo politico e antropologico di Silvio Berlusconi – finisce per penalizzarlo, soprattutto dopo lo scandalo Expo.

IERI, PER DIRE, è stato costretto a inseguire il comico genovese sul tema della tenuta governo: “Non c’è mai stato in nessun Paese europeo un collegamento tra il risultato delle elezioni europee e il governo”. Queste elezioni, dice Renzi, “sono un derby tra chi crede che l’Italia debba contare in Europa e chi crede siano un sondaggio per la politica nazionale. Io credo che questo sondaggio lo vinciamo, ma spero che gli italiani vadano a votare per l’Europa”. Eppure aver impostato tutta la propaganda del Pd sulla sua figura di capo del governo è stata una scelta precisa di Renzi stesso. Il titanismo dell’ex sindaco, a cui piace rappresentarsi in guerra con l’invisibile nemico della conservazione, funziona assai meno se il suo bersaglio è Beppe Grillo. La rottamazione non funziona più: per la prima volta la sua campagna non può basarsi soprattutto sull’attacco ai dinosauri del suo partito, non può rifulgere sulla pochezza, la compromissione, i fallimenti altrui. Il dinosauro, per i tempi rapidissimi della politica spettacolo, è diventato lui: “Loro insultano, noi governiamo”, è stato lo slogan ripetuto nei molti appuntamenti di ieri. Una roba alla Romano Prodi. Il dato politico, alla fine, è che nonostante non ci sia il suo nome nel simbolo del Pd – come Renzi continua a ripetere – il partito è scomparso dai radar: “Con lui a Palazzo Chigi si sta appannando, si sta destrutturando. Andando in giro trovo gruppi di amici, ma il partito vero e proprio fatico a trovarlo”, come dice Massimo D’Alema. Lui e Bersani, d’altronde, sono relegati a fare campagna lontano dai riflettori, alle cene di finanziamento, coi candidati sindaco, mai insieme al premier.

MATTEO RENZI è solo in campagna elettorale. Di più: le proposte del partito e le figure dei candidati sono appannate dietro uno schema comunicativo che punta tutto su quel che il governo ha fatto, sta facendo, farà: è ovvio – anche visto che questo esecutivo è nato con un accordo di palazzo – che sia un referendum su di lui, lo stesso premier ha fatto in modo che lo fosse. Attorno a lui – a fargli da corona e a dimostrare che nessun uomo può essere un’isola, ma magari un arcipelago sì – solo la ministro Maria Elena Boschi, la vicesegretario democratica Debora Serracchiani e le cinque capo-liste donne scelte dallo stesso one man band: Alessia Mosca (Nordovest), Alessandra Moretti (Nordest), Simona Bonafè (Centro), Pina Picierno (Sud) e Caterina Chinnici (Isole). Non proprio un cast in cui la figura del premier rischi di essere appannata. Questa strategia, però, è magari l’unica possibile per non snaturare Renzi, ma di certo è assai rischiosa per il governo che dirige. La sicurezza delle prime settimane ha lasciato il passo ai dubbi. È così che si arriva al “tra Europee e governo non c’è alcun collegamento” scandito ieri in tv dal premier. E pure al “un punto sopra Grillo per noi è comunque un successo perché alle politiche eravamo pari”, messo a verbale – anonimamente – da uno dei suoi. Massimo Cacciari, ieri su Radio 24, l’ha messa in tutt’altro modo: “Se il Pd dovesse perdere con Grillo e anche se ci fosse una situazione di pareggio con il M 5 S è chiaro che Renzi scomparirebbe dalla scena”, “si aprirebbe una crisi enorme e difficilmente governabile anche da un genio della politica come Napolitano”.

ANCHE NEL PD disgregato, umiliato, cancellato dal discorso pubblico dal suo stesso capo cominciano ad essere preoccupati: lo scambio a cui molta parte della classe dirigente ha dato silenzioso assenso tra perdita di peso politico e successo elettorale rischia di non funzionare. Ora qualcuno, di certo, aspetta il cadavere di Renzi sulla riva del fiume, altri semplicemente non sanno che fare: dai sondaggi che girano sui tavoli dei vari partiti, infatti, sembra che Grillo abbia smesso di pescare nel bacino del Pd e abbia preso a farlo in quello assai più appetibile in libera uscita dal berlusconismo (il crollo di Forza Italia, peraltro, trascinerà con sé anche le raffazzonate riforme costituzionali). Non solo: al Sud i democratici continuano ad andare male. Quanto siano preoccupati al Nazareno – retto dal renzianissimo vicesegretario Lorenzo Guerini – lo testimonia l’sms inviato ieri pomeriggio a ogni singolo parlamentare Pd: “Tutti impegnati in campagna elettorale, senza eccezione alcuna”. Chiude lo stesso Renzi in serata: “Mancano quattro giorni, bisogna fare uno sforzo pazzesco”.

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