Sorgenia, brivido con le banche per evitare il fallimento

Sorgenia
Sorgenia

ROMA – “La ristrutturazione del debito Sorgenia sta per entrare nella fase finale”, afferma Cheo Condina sul Sole 24 Ore.

Ci sono, scrive, “i primi segnali di avvicinamento tra le posizioni della controllante Cir e delle banche, anche alla luce della forte crisi di liquidità del gruppo energetico, che richiede una soluzione a brevissimo termine o quanto meno uno stand still.
Nella riunione tenutasi mercoledì, gli istituti di credito con cui è indebitata Sorgenia per 1,8 miliardi di euro avrebbero abbassato a 150 milioni (dagli iniziali 300) le pretese sul contributo che dovrebbe arrivare dalla finanziaria della famiglia De Benedetti, ipotizzando uno stralcio del debito in eccesso (tra conversione in equity e altre operazioni) per circa 450 milioni.
Sorgenia avrebbe all’esame un’ipotesi di aumento di capitale da circa 200 milioni di cui si sarebbe discusso nel cda di lunedì scorso; il socio Cir è irremovibile nel partecipare all’aumento soltanto pro quota (cioè con il 53%), mettendo di fatto davanti alle proprie responsabilità l’altro socio Verbund, titolare del 46%.
Evidentemente ancora non c’è un accordo, ma entro lunedì 3 marzo- quando è previsto un nuovo vertice tra banche e Sorgenia (il cui cda si riunirà poi mercoledì 5 febbraio) – il tentativo sarà quello di incrociare le due posizioni per imboccare il prima possibile un percorso di salvataggio in bonis della società. La procedura che verrà seguita dipenderà dall’eventuale intesa, ma è plausibile che si farà almeno un tentativo con l’articolo 182-bis della legge fallimentare”.
Un accordo di ristrutturazione del debito “che prevede l’ok di tutte le 21 banche creditrici e un piano di risanamento approvato da un esperto nominato dalla società e l’omologa del Tribunale: una soluzione stragiudiziale, che proteggerebbe il gruppo dal fallimento e revocatorie per due anni ma che, nell’immediato, richiederebbe comunque la concessione dello stand still, perché per l’omologa del Tribunale potrebbero servire fino a due mesi.
Nel frattempo, nel vertice tra le principali banche creditrici tenutosi ieri, l’advisor Rothschild avrebbe illustrato i principali scenari per uscire dall’impasse. Lo stralcio di 600 milioni di debito richiesto da Sorgenia, secondo gli istituti, potrebbe essere raggiunto attraverso un contributo di Cir di almeno 150 milioni e circa 300 milioni di conversione in azioni (ma la strada degli strumenti partecipativi non sarebbe ancora esclusa); resterebbero altri 150 milioni che potrebbero essere stralciati o trasformati in un convertendo.
In questo modo le banche prenderebbero il controllo del gruppo energetico. Il quadro è comunque provvisorio: la distanza tra le posizioni di alcuni istituti resta importante e i prossimi giorni serviranno anche a convincere le banche con le esposizioni medio-piccole (specie se si sceglierà l’articolo 182-bis, che richiede l’unanimità).
Sul fronte Sorgenia, invece, il cda di lunedì sera avrebbe esaminato l’ipotesi di un aumento di capitale da poco meno di 200 milioni, al quale Cir contribuirebbe per 100 milioni. Sarà la colonna portante della proposta di manovra finanziaria che verrà presentata lunedì alle banche. Ma sarà anche il modo per invitare, un’ultima volta, il socio Verbund a partecipare alla ristrutturazione del gruppo o a verificare se sul mercato ci sono altri investitori interessati a coprire l’inoptato”.
A meno di 48 ore dalle dichiarazioni del banchiere Giovanni Bazoli al Financial Times sui danni che ha recato all’Italia il “capitalismo di relazione” ecco, scrive Libero,  “che dentro i nostri confini esplode il caso Sorgenia. […] La società attiva nell’energia di proprietà del gruppo Cir – che fa capo alla famiglia di Carlo De Benedetti – è sempre più vicina al dissesto finanziario e si appresta a essere salvata dalle banche che l’hanno sostenuta con linee di credito che sfiorano i 2 miliardi di euro (1,9 per l’esattezza)”.
Una montagna di denaro “che Sorgenia non è in grado di restituire da un pezzo. Di qui la soluzione, fondata con ogni probabilità sulle buone relazioni tra gli azionisti Cir e i top manager degli istituti di credito.
Relazioni che fanno la differenza: di solito, un’impresa insolvente(cioè che non pagai fornitori e che non rimborsa le rate dei pre- stiti) alza bandiera bianca, con i creditori che a un certo punto la costringono a portare i libri in tribunale, col rischio di fallimento.
Un traguardo che per Sorgenia sembrava davvero vicino: lo scorso dicembre, l’amministratore delegato, Andrea Magoni, ha lanciato l’allarme rosso. Magoni chiese alle banche una moratoria (un congelamento delle rate dei finanziamenti) fino a luglio e rivelò che la so- cietà aveva «autonomia finanziaria di circa un mese». Il termine è ampiamente scaduto e ora si cercadi correreai ripari.Come? Conle relazioni, appunto. Nell’affaire della spa dei De Benedetti c’è la«crema»del sistema bancario italiano: Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Ubibanca, Banca popolare diMilano, Banco Popolare.Leprime seibancheitaliane,proba- bilmente,negli scorsiannisi sonomesse in fila pur di concedere linee di credito all’Ingegnere. L’istituto più esposto è Mps con 600 milioni che peraltro è azionista della società guidata da Magoni con l’1,21%”.
Una piccolissima quota destinata a crescere sensibilmente. “L’accordo attorno al quale si sta discutendo – e che ieri è stato oggetto di una riunione telefonica –  che le banche convertano il credito in azioni. I dettagli sono ancora in corso di definizione. Ma la sostanza è che i banchieri stanno aprendo un super paracadute per De Benedetti. A fronte del regalo, però, gli istituti vorrebbero dalla Cir un impegno maggiore:per salvare Sorgenia chiedono che nella ricapitalizzazione Cir versi da 200 a 300 milioni, il doppio o il triplo di quanto la holding era disposta a mettere sul tavolo,appena 100 milioni.La richiesta delle banche si fonda anche sulla liquidità incassata dalla famiglia DeBenedetti con il Lodo Mondadori che portò la Fininvest di Silvio Berlusconi a staccare un assegno da 494 milioni.
Al momento non è chiaro quanto sia rimasto in cassa di quella somma, ma le banche pretendono uno sforzo aggiuntivo. I tempi sono lunghi.Non a caso,ieri,l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha escluso soluzioni a breve affermando che sono «solo all’inizio della discussione». Per lunedì prossimo è stato fissato un nuovo appuntamento, questa volta tra le banche e il board della società. Mentre il 5 marzo c’è un cda ritenuto decisivo di Sorgenia. La conversione del credito in azioni, comunque, non riguarderebbe l’intero indebitamento, cioè 1,9 miliardi, ma solo una parte, circa 500 milioni.
La questione, per ora, “è sul tavolo della banca d’affari Rotschild. Che, tuttavia, non può escludere ipotesi più estreme, con le banche che potrebbero diventare le azioniste di maggioranza del gruppo di energia, in caso di mancato accordo.
De Benedetti non ha molte chance. Peraltro, il socio austriaco della Cir, Verbund (che ha il 49% di Sorgenia), si è sfilato e non è disposto a mettere mano al portafoglio. La holding, allo stesso tempo, deve tener conto degli interessi di tutti gli azionisti e non riuscirà a smobilitare i quattrini chiesti dalle banche.
Cir ha le mani legate e potrebbe trovare addirittura conveniente il disimpegno da Sorgenia: la svalutazione a zero della partecipazione sarebbe forse la soluzione meno dolorosa. Uno scenario che, come accennato, potrebbe costringere gli istituti a «ingoiare» Sorgenia togliendo la castagna dal fuoco a De Benedetti. C’è da dire che l’operazione banche- Sorgenia avrebbe fatto meno rumore in un periodo di crescita economica. Oggi passa meno inosservata, invece, perché arriva dopo un anno in cui i prestiti alle imprese e alle famiglie, dati Banca d’Italia alla mano, sono crollati di 55 miliardi. E la fetta maggiore delle aziende che trova sempre i rubinetti chiusi allo sportello non può contare su buone «relazioni». Con buona pace dei banchieri che ancora si ostinano a difendere il sistema bancario.
Gestione cookie