Stato-mafia, “Mori assolto fa vacillare tesi trattativa”. Bianconi sul Corriere

Pubblicato il 18 Luglio 2013 - 10:40 OLTRE 6 MESI FA
Stato-mafia, "assoluzione di Mori fa vacillare la tesi". Bianconi sul Corriere

Il generale dei Carabinieri, Mario Mori (Foto Lapresse)

PALERMO – L’assoluzione del generale dei carabinieri Mario Mori, che secondo i giudici di Palermo non favorì l’ex boss mafioso Provenzano consentendogli di prolungare la sua latitanza, è in realtà un colpo che fa vacillare gran parte della teoria su cui si fonda la presunta trattativa Stato-Mafia. E dunque un colpo all’impianto di un altro processo, parallelo, ancora in corso a Palermo e dove il generale figura di nuovo tra gli imputati. Lo spiega bene Giovanni Bianconi, sul Corriere della Sera del 18 luglio:

tre giudici non hanno creduto alla storia del boss Provenzano lasciato latitante «per consolidare il suo potere all’interno dell’organizzazione mafiosa, che in ossequio ai taciti accordi scaturiti dal periodo stragista e dalle parallele trattative avrebbe, come s’è poi effettivamente verificato, definitivamente garantito l’abbandono della linea di scontro violento con lo Stato». Era la tesi della Procura, bocciata dal tribunale.

Il processo Mori, nel quale era coimputato anche il colonnello Mauro Obinu, anche lui assolto, è compreso quasi per intero nell’altro processo, quello su presunti accordi inconfessabili tra lo Stato e Cosa Nostra. A settembre sarà dibattuta la lunga lista dei testimoni presentati dall’accusa, molti dei quali già sentiti al processo Mori-Obinu. Spiega Bianconi:

Anche la presunta falsa testimonianza dell’ex ministro Nicola Mancino, ipoteticamente commessa proprio davanti ai giudici del processo Mori, potrebbe avere un corso diverso alla luce di questa assoluzione. Le motivazioni dei giudici si conosceranno fra tre mesi, ed è possibile che svolgano qualche considerazione anche su quel passaggio dibattimentale che vide Mancino contrapposto agli ex colleghi di governo Scotti e Martelli. Un’eventuale lettura dei fatti a favore del primo non condizionerebbe le valutazioni di altri giudici, ma sarebbe un punto a favore dell’ex titolare del Viminale, che ancora non si capacita di trovarsi imputato al fianco di Riina e Bagarella.

Il conflitto istituzionale tra la Procura di Palermo e il Quirinale sulle intercettazioni fra Mancino e Napolitano nacque proprio da qui, dal processo Mori.

L’ufficio guidato dal procuratore Messineo, per il quale il Csm ha avviato una procedura di trasferimento anche a causa della gestione di alcuni passaggi di questa vicenda, ha perso una partita importante — sebbene non decisiva — del campionato che si gioca intorno alla presunta trattativa. Agli atti del processo ci sono le sentenze definitive delle Corti di Firenze che hanno accertato un segmento della vicenda: gli incontri tra Mori e l’ex sindaco Ciancimino percepiti dai mafiosi come disponibilità dello Stato a scendere a patti pur di far cessare gli attentati. Ma, appunto, è un segmento. Il resto della ricostruzione dell’accusa, il prima e il dopo, è ancora tutto da dimostrare. Un altro segmento è il mancato blitz nelle campagne di Mezzojuso, nell’ottobre 1995, dove forse si poteva arrestare Provenzano. Il tribunale ha detto che i fatti «non costituiscono reato», formula che consente a Messineo di sostenere che gli stessi fatti «da noi contestati non sono stati ritenuti infondati», in attesa delle motivazioni che chiariranno il ragionamento dei giudici. E quanto potrà influire sull’altro dibattimento.

Il colpo insomma è forte, ma i pubblici ministeri non si arrendono,

perché non c’è solo mancata cattura di Provenzano, ma per esempio, la revoca di oltre trecento decreti di carcere duro per altrettanti detenuti per fatti di mafia, nell’autunno del ’93. Su quel passaggio anche Mori, nella sua autodifesa, ha fatto capire di credere che qualche trattativa ci fu. Ma non da parte sua. Chissà che ne diranno i giudici che l’hanno assolto, in attesa dell’altra sentenza. Quella più importante.