ROMA – “Vorrei che Erri De Luca venisse qui, nel nostro cantiere, a vedere come lavoriamo e a spiegarci perché dobbiamo essere l’unico cantiere d’Italia costretto a lavorare sotto attacco”: questo l’appello firmato da un centinaio di operai che lavorano nel cantiere della Tav in Val di Susa indirizzato a Erri De Luca, lo scrittore rinviato a giudizio per istigazione a delinquere in relazione ad alcune dichiarazioni in cui affermava che “la Tav va sabotata”.
In questi mesi, si legge nell’appello, “qualche intellettuale ha inneggiato al sabotaggio dell’opera in nome della libertà di espressione. Ma non ha parlato con noi sabotati, non si è curato delle nostre espressioni e si è ben guardato dal venire in cantiere. Eppure siamo noi quelli che hanno vissuto gli assalti con cesoie, sassi, molotov e bombe carta. Con un nostro collega ferito e un militare invalido per tutta la vita. Siamo uomini e donne che si guadagnano il pane sudando e non siamo raffinati intellettuali: per noi il verbo nobile è lavorare e quello ignobile è sabotare”.
“La notte che sono arrivati con le molotov – si legge nell’appello – hanno colpito un compressore che stava lì, di fianco all’ingresso della galleria. Nei giorni successivi hanno scherzato. Dicevano che nell’assalto non si è fatto male nessuno, è solo morto un compressore. Ma chi era dentro la galleria avrebbe fatto la fine del topo se non fosse arrivata la polizia dall’esterno a spegnere il fuoco davanti all’ingresso. Ecco, è lavorare questo? Noi dagli intellettuali come De Luca vogliamo sapere se tutto questo è normale. Se è normale che ci dobbiamo rifugiare nel container con i respiratori, quello che chiamano l’arca, non per una precauzione antinfortunistica ma perché i sabotatori arrivano ad attaccarci dall’esterno. Noi siamo qui per lavorare”.