Terremoto, i guardoni del selfie fra le macerie. Mario Ajello inorridisce

Terremoto, i guardoni del selfie fra le macerie. Mario Ajello inorridisce
Terremoto, i guardoni del selfie fra le macerie. Mario Ajello inorridisce. Nella foto il selfie di Simone Coccia Colaiuta

ROMA  – Selfie davanti alle macerie del terremoto, un modo di passare la domenica che fa inorridire Mario Ajello e noi con lui. C’è gente che la domenica dopo il terremoto ha caricato la famiglia in macchina e invece di una bella scampagnata o un tuffo in mare si è arrampicata sui monti di Amatrice per farsi la foto davante a rovine di case, campanili, torri e antiche mura fatte precipitare a terra dal terremoto che dal 24 agosto tormenta quella parte d’ Italia.

Guardoni del turismo, guardoni dell’ orrore li ha bollati Mario Ajello sul Messaggero:di Roma: si indignano, perfino: ma come, “mon l’hanno ancora riaperto il ponte che porta ad Amatrice? E noi come facciamo a vedere un po’ di terremoto?”.
Sono tipi così, osserva sconsolato Mario Ajello:

nella domenica delle salme, nella domenica dei vivi e dei morti, arrivano da Roma e da altre città per godersi lo spettacolo della tristezza altrui.
La polizia stradale ne blocca moltissimi di questi “tragedy watchers” e loro non fanno una piega, fanno inversione a U sulla Salaria e puntano sula tendopoli di Scai che “è a ridosso della strada statale e non richiede neppure tanta fatica per spiarla attraverso il caso o il parabrezza”.

Alberto, volontario accreditato, ha messo a disposizione dei soccorsi la sua moto da cross per raggiungere il luoghi più impervi e sterrati dove le auto dei soccorsi non arrivano segna la differenza: “Noi siamo gli angeli su due ruote, mentre quelli che arrivano la domenica sgommando e impennando, per curiosare tra le rovine umane e materiali, li chiamiamo i diavoli delle due ruote».
C’è stato perfino un inseguimento tra angeli e diavoli di grossa cilindrata: “Abbiamo fatto scappare dei tizi arrivati da Napoli”. Probabilmente volevano scattare qualche selfie, sullo sfondo del campanile pericolante di Amatrice o di una brandina con una nonna che ha perduto i nipoti, per poi farlo circolare sui social network.

Chi avrebbe mai pensato che un piccolo borgo come Saletta attirasse tanti visitatori come domenica 28 agosto? “I guardoni non hanno neppure l’originalità di andare a cercare posti particolari per bearsi dello strazio, puntano alle immagini che vedono in tivvù – la cappellina squarciata, la scuola che non ha retto e ieri un altro pezzo delle elementari di Amatrice è andato giù – e vogliono partecipare in modalità reality alle scene che hanno già visto sul video. Un paio di loro sono stati fermati, in tenuta da centauri, mentre tentavano di dirigersi verso le rovine dell’Hotel Roma.

Nel terremoto come circo, scrive con amarezza Mario Ajello,

“perché anche questo è, a dispetto delle migliaia di volontari e di tecnici intralciati nel loro valoroso impegno dai ficcanaso, capita di imbattersi in qualcuno che arriva fingendo pietas («Non è che ve serve na mano?») e in realtà trascinato soltanto dalla voglia di abbordare qualche ragazza della Croce Rossa. Oltre al rimorchiatore da sisma, c’è quello che si presenta con ai piedi i sandali da spiaggia o in vesti naturalmente griffate da scalatore dell’Everest, e con l’arietta sbarazzina”.

“C’è chi si inventa ragioni pseudo-umanitarie per essere qui – a intasare il lavoro di chi lavora – insieme al proprio narcisismo da emergenza. «Siamo dell’Associazione per lo sviluppo eco-equo-sostenibile», dice una coppia di fidanzati al carabiniere che li ferma alle pendici di Amatrice. Mentre un camper arrivato dal riminese si ferma sulla diga che sta sotto al paese. L’equipaggio scende e butta un’occhio sullo specchio d’acqua. Nella speranza di vedere qualche corpo galleggiante”.

Per i terremotati, invece, “non c’è più il pranzo domenicale, anche se sabato sera per cena, al campo di Arquata del Tronto, Saverio Olivi e gli altri cuochi volontari hanno preparato la amatriciana per 350 persone.

Non c’è più l’abitudine del caffè nel bar della piazza una volta finita la Messa, perché sono venuti a mancare sia i bar sia le chiese. E pure la passeggiata con i bimbi resta soltanto un ricordo di una normalità irrecuperabile almeno per ora, perché i più piccini sono stati portati via, dopo lo choc del sisma e i lutti conseguenti”.
Bruna, una dei tanti terremotati, racconta al cronista, in piedi sulla porta di una capanna rifugio di emergenza: “Avevo fatto le fettuccine da mangiare oggi a pranzo con i funghi porcini che nelle nostre montagne si trovano già ma nel crollo della mia casa saranno morte anche loro nella polvere”.

Gestione cookie