ROMA – Il tetto del 3% deficit/Pil, uno dei più noti e fastidiosi parametri di Maastricht (1992), è stato deciso “in meno di un’ora e senza nessuna base teorica”: così racconta il suo inventore, il francese Guy Abeille.
Il 3 per cento è il rapporto (massimo consentito) fra il disavanzo pubblico annuale e il Prodotto interno lordo. Per stare dentro questo ristretto margine i governi (da Amato in poi) hanno dovuto imporre ripetuti sacrifici agli italiani. L’ultimo in ordine di tempo: aumentare l’Iva dal 21% al 22%.
Vito Lops sul Sole 24 Ore ricostruisce la storia di un parametro che – presentato come uno dei dogmi imprescindibili per la stabilità economica di tutta l’Eurozona – è in realtà frutto dell’improvvisazione di un giovane (all’epoca) funzionario nella Francia di François Mitterand:
Ancora una volta è caduta la scure del parametro deficit/Pil che non può superare il 3%. Ma da dove nasce questo paletto che oggi condiziona più di ogni altro l’attività di governo (certo molto di più di quello sul debito/Pil al 60% a giudicare dal recente upgrade di Moody’s sull’Irlanda pur in presenza di un debito/Pil balzato nell’ultimo anno al 121%)?.
Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung e prima ancora il francese Aujourd’hui en France – Le Parisien hanno svelato l’arcano, poi ripreso anche da molti blog. La soglia del 3% sul deficit/Pil è stata elaborata negli anni ’80 da un sconosciuto funzionario del governo di François Mitterand: Guy Abeille, ai tempi non ancora trentenne.
Lo stesso Abeille aveva raccontato a suo tempo l’origine del “dogma 3%”, partorita nei primi anni 80, all’inizio dell’era Mitterand:
“Dopo la vittoria alle elezioni del 1981 in Francia i socialisti guidati da Mitterand per mantenere le costose promesse elettorali avevano portato il deficit da 50 a 95 miliardi di franchi. Per “darsi una regolata” Mitterrand incaricò Pierre Bilger, a quel tempo vice direttore del dipartimento del Bilancio al ministero delle Finanze di implementare una regola per evitare spese pubbliche all’impazzata. Bilger contattò due giovani esperti che avevano una formazione economica e matematica all’Ensae: Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin e Guy Abeille.
Sarà quest’ultimo ad elaborare il paletto del 3% sul Pil, nato però, per sua stessa ammissione, senza alcuna base scientifica: «Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2,6 % del Pil. Ci siamo detti: un 1% di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2% metterebbe il governo sotto troppa pressione. Siamo così arrivati al 3%. Nasceva dalle circostanze, senza un’analisi teorica».
Aujourd’hui en France Le Parisien rivela un altro virgolettato di Abeille: «Abbiamo stabilito la cifra del 3 per cento in meno di un’ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro […]. Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità»”.
Chissà quante volte avranno pensato alla trinità i contribuenti dei Paesi europei come l’Italia, quelli che hanno dovuto fare in fretta e furia “i compiti a casa” per rispettare il tetto del 3%. Tetto che Germania e Francia si sono permesse in più occasioni di sforare. Torniamo agli inizi degli anni 90, quando il 3% divenne regola europea:
Sperimentato in Francia questo paletto resse nel corso degli anni ’80, ad eccezione del 1986, anno in cui il governo spese a deficit di più. A dicembre 1991 quella regola entrò fu promossa da “francese” ad “europea” ed entrò a pieno titolo nei parametri di Maastricht.
Secondo quanto documenta la Frankfurter Allgemeine l’allora Ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel ha svelato come Trichet convinse la Germania a dare l’ok al paletto del 3%: «Il livello di indebitamento europeo all’inizio degli anni ’90 era pari a circa il 60% del Pil. La crescita nominale era circa il 5%, e l’inflazione al 2%. In questa situazione i debiti potevano crescere al massimo di un 3% all’anno, per non superare la soglia del 60%».
Una domanda su tutte, ma non ha risposta. Anzi, secondo l’ex governatore della Bce Jean-Claude Trichet il 3% è un tetto troppo generoso:
Ma perché proprio il 3%, e non il 2,5 % o il 3,5 % o il 4%? «Economicamente è difficile da giustificare», disse una volta l’ex presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer, mentre osservava da vicino la nascita del criterio.
L’ex governatore della Bce, Jean-Claude Trichet ha però aggiunto a posteriori che il 3% è un parametro troppo favorevole perché basato l’assunto di una crescita al 5%. «Purtroppo era troppo ottimista, come sappiamo oggi. Avremmo dovuto fissare dei limiti all’indebitamento più bassi, perché la crescita è stata inferiore».
Abeille non pare farsene un cruccio:
Il “padre della regola” che è diventato l’incubo di mezza Europa oggi ha 62 anni, e assiste agli sviluppi con un certo divertimento: «Non l’avremmo mai immaginato». Tuttavia è rimasto un sostenitore della disciplina di bilancio.
Il 3% non è l’unica regola improvvisata. Nel fiscal compact, il trattato di bilancio europeo, c’è un’altra percentuale presentata come un dogma, lo 0,5% di riduzione annua del debito pubblico al quale gli Stati europei sono obbligati:
Le Parisien sottolinea che «l’ironia della storia è che i tecnocrati di Bruxelles si sono ispirati a questo famoso 3 per cento anche per creare un’altra regola iscritta nel nuovo trattato di bilancio europeo e altrettanto falsamente cartesiana, quella che obbliga a limitare il deficit strutturale degli Stati allo 0,5 per cento. Perché non l’1 o il 2 per cento? Nessuno lo sa».
La pensa così, oggi, lo stesso Abeille che considera alquanto utopici i calcoli sul deficit strutturale, al momento di gran moda, che ignorano l’impatto congiunturale.
Insomma, che Rehn lo sappia o meno, appare chiaro che la scienza fu messa in secondo piano nei palazzi di Maastricht al momento di decidere la nuova architrave europea che detta ancora oggi la linea.
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