ROMA – Tfr in busta paga: tutti dicono di volercelo mettere ma nei fatti mettono tali e tanti paletti da rendere l’operazione assai difficile.
Matteo Renzi ha sempre detto che si sarebbe messo il Tfr in busta paga solo senza danni per le imprese e questo non è semplice perché si tratta di sostituire 15 miliardi di euro di debito con i dipendenti al costo dell’inflazione e a scadenza decennale, con un debito con le banche a tassi da definire e di durata certo molto breve.
Le banche, in ogni caso, chiedono la garanzia dello Stato. In questi tempi di stress test per fare un favore a Matteo Renzi rischiano i fulmini di Mario Draghi.
Giorgio Squinzi ha detto a Renzi martedì che non solo deve essere a cost zero per le imprese ma ci vuole anche la libera scelta dei lavoratori.
Gaetano Stella, presidente di Conprofessioni, la confederazione dei professionisti, ha fissato altre condizioni:
“1. Non retroattivo, ma solo per le nuove assunzioni; dovrà riguardare solo le somme maturate dal momento dell’emanazione della norma, senza in alcun modo prevedere versamenti su somme già accantonate, che devono restare in azienda o ai fondi di previdenza complementare;
2. assoggettato a tassazione separata e senza rivalutazione,
3. stop al contributo mensile dello 0,70% all’Inps.
Il Tfr in busta paga così come prospettato dal Governo andrebbe a esclusivo vantaggio delle casse dello Stato”.
Le banche ora sembrano avere dato una apertura. Conoscendoli, c’è sotto qualche fregatura. Nella sua cronaca per il Messaggero di Roma, Rosario Dimito ha scritto:
“Le banche potrebbero anticipare oltre 15 miliardi di tfr delle imprese. Serve, però, la garanzia dello Stato, in modo da non penalizzare ancora di più le aziende, specie le piccole e medie. E uno strumento normativo.
La disponibilità ad approfondire il negoziato è arrivata martedì mattina, a palazzo Chigi, da parte dell’Abi rappresentata dal direttore generale Giovanni Sabatini, affiancato dal suo vice Gianfranco Torriero, direttamente a Matteo Renzi alle prese con una manovra che potrebbe portare in busta paga la liquidazione dei lavoratori. E attraverso questa strada, incentivare i consumi e contribuire alla ripresa.
Al tavolo del confronto con le forze datoriali, il governo era schierato in forze. Al fianco di Matteo Renzi il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, del Lavoro Giuliano Poletti, della Pa Marianna Madia, il sottosegretario Graziano Delrio.
Il fronte delle organizzazioni sociali, oltre all’Abi, comprendeva il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi accompagnato dal direttore generale Marcella Panucci, il presidente di Rete impresa Italia Giorgio Merletti, il presidente dell’Ania Aldo Minucci, i rappresentanti della Confagricoltura, Coldiretti e delle coop.
Matteo Renzi ha sottolineato la necessità di un intervento a favore del tfr con un’operazione che non penalizzi le imprese.
L’ordine di grandezza del fenomeno si attesta a circa 15,5 miliardi, di cui 6 miliardi relativi ai flussi di nuovo tfr destinato alle imprese con oltre 50 dipendenti e ben 9,5 miliardi relativi alle aziende con meno di 50 dipendenti. Ci sarebbero anche i 6 miliardi dei fondi pensione: questi ultimi, però hanno regole proprie ed anche le modalità attuative sono particolari.
Giorgio Squinzi ha condiviso l’impostazione di Renzi. «Se l’anticipo del tfr è a costo zero per le imprese e ci sarà libera scelta dei lavoratori non ci opponiamo». Del resto gli industriali fino a qualche giorno fa, temevano che l’anticipo togliesse liquidità all’auto-finanziamento, in una fase in cui il credito scarseggia.
Da parte delle banche è stata assicurata piena disponibilità a trovare una soluzione. Sabatini lo ha spiegato senza mezzi termini. Attenzione però, ha sottolineato: si faccia in modo di non aumentare gli affidamenti delle imprese, un’eventualità che sarebbe da scongiurare. Ecco perchè Sabatini ha ribadito la necessità di un’operazione dove ci sia la piena garanzia dello Stato”.Qui cominciano le dolenti note in cui superficialità, creatività burocratica, voglia di compiacere il Governo rischiano di fare una bomba a orologeria:
“Il modello a cui si ispirano le banche è quello dell’anticipo delle imposte da parte delle popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna. Secondo Sabatini si deve fare un’operazione di tesoreria: gli istituti non vogliono valutare il merito di credito, intendono solo smobilizzare la liquidazione di fine rapporto”.
Dove è la trappola? Nel paragonare un fatto strutturale come la fine del Tfr per sempre a un intervento di emergenza, l’anticipo delle imposte per un periodo determinato.
Prosegue Rosario Dimito:
“Sabatini dice a Renzi: le banche sono pronte, il governo però, deve varare una norma ad hoc che faciliti un’operazione che abbia la stessa durata dei finanziamenti Tltro, cioè quattro anni. Lo stesso governatore di Bankitalia Ignazio Visco si è espresso a favore, gli istituti si allineano. La palla quindi le banche la rimandano al governo”.