Una grana chiamata Viperetta. Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Ottobre 2014 - 12:27 OLTRE 6 MESI FA
Una grana chiamata Viperetta. Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano

Una grana chiamata Viperetta. Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano

ROMA – “Pensavano di dominarlo, contenerlo, avvilupparlo nelle setose trame del dopo gara – scrive Malcom Pagani del Fatto Quotidiano – Un ospite inatteso che con il corroborante ritorno del folklore anni 70 e la sincerità urticante di chi parlando sa sempre cosa restituire a pane e vino, arieggiasse il chiacchiericcio inutile, la lamentela in doppio petto del presidente x, la stagnante morta gora del pallone domenicale trasmesso alla nazione a reti unificate”.

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Con un occhio cinico agli ascolti e l’altro da anni abituato per ragioni di sponsor e di baracca a ratificare senza opposizione il compiaciuto autoscatto del patron di turno, i dirigenti televisivi si illudevano di aver trovato in Massimo Ferrero, neo capo tribù della Sampdoria, un’altra perfetta figurina del teatrino. Funzionale allo scopo, meno usurata della passione ormai svanita di Aurelio De Laurentiis o dei funambolismi dialettici di Lotito e più vicina, che è quel che conta, alla necessaria scossa di stampo squisitamente cabarettistico che in altre epoche da Lecce e da Pisa, da Catania a Perugia, Franco Jurlano, Romeo Anconetani, Angelo Massimino o Luciano Gaucci, seppero come dare. A giudicare dalle apparenze, il costante survoltaggio ha assassinato l’operazione simpatia e al morso viperesco di Ferrero, i conduttori recentemente costretti a confrontarsi con lui, non hanno saputo contrapporre antidoti. Televisiva-mente sono minuti di non sense quasi sempre straordinari. Ferrero è senza filtro. Dice quel che gli passa per la testa, esagera, inventa rime, canzoni per la turbatissima Ilaria D’Amico, nazionalità.

Ieri, accodandosi a una nobile tradizione che spazia dal De Sica ampezzano del primo Vacanze di Natale: “Asuncion, dichialale il secondo” alle quartine in tema dei fratelli Vanzina: “O Gesù fammi bel dono di una serva filippina / o Gesù tu che sei buono dammi un cottage a Cortina / sarò brava, onesta e retta / farò doni al terzo mondo / ma tu dammi una villetta / Dio, Gesù, a Porto Rotondo” Ferrero è apparso nel giulivo salotto di Enrico Varriale per impartire una lezione di determinismo geografico. Interrogato sulla sofferta dipartita di Moratti e sui giudizi di Erick Thohir, lievemente confuso sui rapporti di forza in seno all’Inter, Massimone ha dato retta al cuore, ascoltato la sua parte sciovinista e si è lasciato andare: “Gliel’ho detto a Moratti, caccia via quer filippino no, che l’ha preso a ‘ ffà?”.

A quel punto Varriale, uno che nella sua vita aveva subito rispondendo a tono i paragoni canini di Cesare Maldini: “bassottino, non ti faccio più venire”, l’eloquente: “Si chieda chi l’ha messa lì e perché ce la fanno stare” di Walter Zenga e il “non mi faccio impartire lezioni da lei” di Enrico Preziosi, ha iniziato a sorridere nervosamente, a sibilare un flebile “attenzione presidente, Thohir è indonesiano”, e alla fine, non prima di aver ricevuto risposta in tema: “Doveva difenderlo Moratti, scusa… che vieni dall’Indonesia a insultà un emblema del calcio italiano? Si ero Moratti gli avevo dato due pizzicotti sulle recchie” ha battuto in ritirata. Il problema è comune.

La risorsa Ferrero (che si è scusato ed è tutto tranne che razzista) cresciuta proporzionalmente al ritmo dei sorprendenti risultati ottenuti da Mihajlovic, è diventata un’angustia. Ora che Mr. Jekill e il signor Hyde si scambiano i ruoli con troppa frequenza e Caron dimonio, con grigio golfino sociale sotto la giacca, ha mostrato il suo volto tranciando battute e brutali giudizi a getto continuo, chi dovrebbe offrirgli la platea non sa più come prenderlo né dire con certezza fino a dove si spingerà. Per un mondo che fa del formalismo la sua bandiera, si indigna solo in coincidenza di un dramma, ma tollera ampiamente da decenni le battute di Moggi sul nome di Kakà, le freddure di Lotito sullo strabismo di Marotta o gli ululati da branco selvaggio, il cavalcare anarchico di Ferrero nelle praterie di genere è una nèmesi sacrosanta. Niccolò Carosio, è vero, fu estromesso dai palinsesti per un “negraccio” mai pronunciato.

Ma i tempi sono cambiati, l’indignazione popolare ha ricalibrato i suoi parametri e nel Paese in cui un assessore all’Urbanistica della Regione Lombardia, Viviana Beccalossi, con elegantissimo calembour, consiglia a Rosario Crocetta di rasserenarsi in diretta: “Frocetta, prendi il Valium”, nessuno può sentirsi veramente offeso, ferito o soprattutto stupito dalla fedele riproduzione in forma pallonara del circo nazionale. Ferrero ingolosiva e come nella tradizione, andando verso il lardo, i custodi dello spettacolo mediatico ci hanno rimesso zampino, presunto decoro e tranquillità. Ferrero gli è scappato. Scomparso dal radar, dai braccialetti elettronici e dalle previsioni ottimistiche, ora viaggia per conto suo. Riprenderlo è una preoccupazione superflua. L’anestesia è totale, l’assuefazione assoluta, il Quinto potere, legge. Ferrero piace, ma non è Peter Finch. Nessuno cercherà di imitarlo: “Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più” né di farlo tacere. Tavecchio presiede e molto altro da dire non c’è.