ROMA – “L’eterna maledizione dell’incuria funziona così – scrive Mario Ajello del Messaggero – Cambiano i sindaci, ma non cambiano i tombini che s’intasano a causa di due gocce, e in questo caso sono molte di più”.
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Non si può circolare sulla cresta dell’onda della Roma alluvionata, allora ci si infila nella metro ma è allagato anche il sottosuolo e insomma: giù c’è il pozzo e su c’è il mare magnum. Ed è tutto fermo, tranne le pozzanghere che s’allargano a vista d’occhio e i fulmini che piovendo sul bagnato mandano in corto circuito la plurimillenaria pazienza dei romani e la loro già difficile mobilità. I bimbi della Guido Alessi avrebbero bisogno di un ponte aereo, per entrare a scuola, perché in quell’angolo tra via Flaminia e via Fracassini c’è da vent’anni – appena la pioggia sceglie di esagerare un po’ – una pozzanghera di 50 metri per 50. L’edicolante lì affianco, ieri, spiritosamente ha accolto così le mamme: «Volete un salvagente per i vostri piccoli? La ciambella di Peppa Pig o quella di Spiderman?». Forse, in questo mare magnum della Capitale alluvionata d’inverno ma ora anche d’estate, servirebbero manuali di navigazione. All’Aurelio, i rifiuti galleggiano in strada. A piazza del Popolo, la pioggia ha scavato una voragine. Che è stata transennata e ricoperta con due enormi lastre di metallo arrugginito ma per paura che non basti quel coperchio qualcuno ci ha piazzato – per sfottò – un ombrellino da pioggia. I turisti fotografano questa sorta di (brutta) installazione da rain art (esisterà anche questa in qualche museo inutile) dicendo, come faceva la caricatura della signora inglese da gran tour a suo tempo genialmente inventata da Enrico Montesano: «Pittorescoooo, molto pittorescooo».
GRAVITÀInvece, è tutto molto serio e molto grave. Urbe in tilt, cittadini infuriati. E la grande pioggia che s’infila nei garage, nelle portinerie, dentro le auto che oltretutto sono spesso irraggiungibili in assenza di un tender to. I tassisti in giro per la Roma anfibia, ma città più d’acqua che di terra, sembrano navigare sul Canal Grande. Da Venezia, i venditori cinesi di Roma fanno arrivare – dai loro colleghi lagunari – centinaia di stivaloni di plastica made in Taiwan. «Tanto lì, ora che c’è il Mose, l’acqua alta non c’è più», è la battuta perfida, sulla corruzione veneziana, che galleggia nella Roma sommersa. Dove impazzano gli sos, non sempre esagerati: «Aiuto, affogo!». E chi ha dormito male, per colpa dei tuoni. Chi non arriva in ufficio perchè l’albero caduto gli ha spezzato l’automobile. L’Urbs aeterna è eternamente in emergenza pioggia e dopo i blocchi sul raccordo anulare diventato un Gange impazzano sul web le immagini in photoshop di onde oceaniche su cui i quiriti fanno surf come in «Un mercoledì da leoni». Roma è l’opposto della grande bonaccia delle Antille di cui parlava Italo Calvino ma Calvino c’è perchè questa è diventata una delle sue «città invisibili» in quanto sommersa anche di radici, di sterpi, di foglie. La verdura alluvionata di Villa Glori ha così invaso le strade adiacenti, sull’onda del vento, che la foresta Amazzonica sembra diventata pariolina.
NON REGGEUn gruppo di turisti ieri pomeriggio ha fotografato la colonna di Traiano riflessa sull’acqua della pozzangherona ed elettrizzata per effetto dei fulmini ricevuti. Intanto è uscito un raggio di sole ma il plurimillenario scetticismo de’ noantri lo accoglie così: «Nun regge!». L’unico luogo secco, ed è uno scherzo della storia, è la Fontana di Trevi, appena svuotata per via del restauro in corso. Fabrizio De Andrè cantava: «C’è chi aspetta la pioggia, per non piangere solo». Qui piangono tutti, o meglio: sacramentano ma non sanno bene contro chi anche se hanno le loro ragioni e nessuno dice «piove governo ladro» ma il senso è un po’ quello. Ogni tanto arrivano notizie positive dal fronte della Grande Guerra: «E’ stata liberata dalle acque Tor di Quinto». Ma Caporetto c’è già stata. E la linea del Piave, anzi del Tevere, non può reggere a lungo, se le nuvole non smettono di bombardare.