ROMA – “Non è una nuova tassa, ma una semplice questione di equità: chi guadagna in Italia deve rispondere al fisco in Italia”». Edoardo Fanucci, deputato del Pd e primo firmatario dell’emendamento che ha introdotto la web tax nella legge di Stabilità, spiega in un’intervista di Luisa Grion su Repubblica. Fanucci ne fa una questione di “trasparenza e giustizia”
“ma assicura di non essere sorpreso dalle polemiche che si stanno alzando attorno al testo approvato dalla Commissione Bilancio. ‘Abbiamo a che fare con lobby molto potenti, non a caso è dal 1995 che in Europa si discute sul come regolamentare la tassazione delle multinazionali senza approdare, fino ad oggi, a soluzioni concrete’».
Ecco, partiamo dall’Europa. Scelta Civica è convinta che il testo sia in contrasto con i principi comunitari della libera circolazione di beni e servizi. Rischiamouna bocciatura a Bruxelles?
“Direi proprio di no, anche perché non siamo gli unici a muoverci in questa direzione. In Francia una proposta di legge sulla quale c’è l’accordo del presidente Hollande ricalca proprio il nostro testo, e sulla stessa strada si sta muovendo il Portogallo. L’emendamento è passato al vaglio dei dipartimenti delle Finanze e del Tesoro: non c’è discriminazione, chiunque può aprire una partita Iva”.
Il digitale è un treno sul quale salire per rincorrere la ripresa: imporre per primi regole restrittive non può penalizzarci?
“No, perché non stiamo parlando di nuove tasse. Lo dimostra anche il fatto che non c’è stima di gettito: abbiamo solo proposto di utilizzare le risorse recuperate per tagliare il cuneo fiscale. Non saranno queste regole a far allontanare le compagnie da un mercato fiorente come il nostro: qui si tratta solo di far emergere redditi nascosti e di affrontare il tema, comune a tutti gli Stati, di combattere l’elusione fiscale”.
Come superare gli ostacoli posti dalle lobby multinazionali?
“Insistendo sul fatto che qui non s’intende penalizzare i new media, ma superare un vuoto normativo che ha consentito abusi di diritto e vantaggi fiscali ingiustificati. Questi colossi non solo mettono in sicurezza i loro guadagni depositandoli nei paradisi fiscali, non solo creano in loco un numero risibile di posti di lavoro mantenendo tutte le strutture in Irlanda, ma riescono perfino a risultare in credito d’imposta, ottenendo rimborsi. Sia chiaro, non fanno nulla d’illegale: utilizzano al meglio le voragini normative”.
In Europa, dice lei, se ne parla da oltre venti anni, che cosa le fa credere che i tempi siano cambiati?
“Ormai siamo davanti ad una situazione che né l’Italia, né gli altri Paesi possono più permettersi. Varata la legge di Stabilità, abbiamo la possibilità di usare la presidenza del semestre europeo per fare da volano alla soluzione trovata”.
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