Yara Gambirasio. La madre del killer sa il nome. Ferdinando Camon: “Lo dirà?”

Yara Gambirasio. La madre del killer sa il nome. Ferdinando Camon: "Lo dirà?"
Yara Gambirasio

ROMA – L’assassino di Yara Gambirasio: una persona conosce la sua identità, è la madre del killer, identificato dall’esame del DNA, la donna che è stata l’amante segreta dell’autista del giallo.

Questa osservazione costituisce lo spunto di un articolo che Ferdinando Camon ha scritto per la Stampa di Torino:

C’è una persona che sa tutto. È la madre. La donna che ha fatto un figlio insieme con quell’autista di pullman, a quest’ora sa bene (ovunque viva, anche in Cambogia) che suo figlio è l’assassino.

Qui scatta un problema psicologico col quale tutti ci siamo confrontati: se un padre o una madre scoprono di avere un figlio assassino, lo denunciano o no? Cinema e letteratura e psicologia hanno ragionato sul problema, e rispondono che la madre tende a proteggere il figlio, il padre è più incline a denunciarlo. Perché la madre incarna il senso di protezione, di chiusura, di autodifesa: il bene è il bene della famiglia, e denunciare un figlio non fa il bene della famiglia. Il padre tiene le relazioni della famiglia col mondo, la famiglia ha dei legami col mondo, il bene della famiglia sta nella salvezza di questi legami. I lettori, in Italia e nel mondo (la storia di Yara e l’interminabile caccia al killer con l’esame del Dna sta facendo il giro del mondo), e specialmente le lettrici, sono portati e «comprendere», empaticamente, la madre dell’assassino: del rapporto con l’autista non le resta che quel figlio segreto, salvandolo salva tutto quello che ha, non lo tradirà mai. Ogni donna farebbe così, pensano le lettrici. E ognuna aggiunge: anch’io. È un figlio-assassino, ma pur sempre un figlio. Si tratta di salvare la vita del figlio. La vocazione materna è questa.

Se la madre riesce a nascondere il figlio assassino finché lei muore, non avrà mai vissuto un frammento di vita col figlio. E se il figlio resterà nascosto fino alla propria morte, e morirà ingiudicato e incondannato, non avrà vissuto neanche un minuto di vita degna di essere vissuta. Se però questo è il legame fra quella madre e quel figlio, allora il figlio ha respirato questo rapporto fin da quando è nato. Ed è per questo che ha ucciso. Facendogli sentire questa protezione oltre l’assassinio, la madre ha ucciso insieme con lui. E adesso, tacendo, protegge se stessa, il proprio errore, il proprio fallimento.

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