Anticorpi coronavirus in 1 milanese su 20 già prima dell'epidemia Anticorpi coronavirus in 1 milanese su 20 già prima dell'epidemia

Coronavirus, prima di Codogno 1 milanese su 20 aveva già gli anticorpi

MILANO  – Un milanese su 20 aveva già gli anticorpi del coronavirus prima del caso Codogno, cioè prima del 21 febbraio.

Questo il risultato di uno studio condotto dai ricercatori del Policlinico di Milano su campioni del sangue donato prima del primo caso accertato di Coronavirus in Italia.

Lo studio al momento è solo un preprint su medRxiv, quindi in attesa di essere confermato e pubblicato su una rivista scientifica.

Anche se i suoi risultati sono ancora da verificare, che il coronavirus circolasse al nord Italia già ben prima del lockdown sembra però essere cosa assodata.

A inizio epidemia infatti 1 donatore di sangue su 20 (4,6%) aveva già sviluppato gli anticorpi, percentuale salita al 7,1% ai primi di aprile. 

Nel testo si legge: “Il distanziamento sociale sembrerebbe essere stato d’aiuto soprattutto per proteggere i più giovani”. 

Anticorpi coronavirus, lo studio del Policlinico di Milano

Per Daniele Prati, uno degli autori dello studio, questa è la prima vera conferma che il virus era presente nell’area metropolitana di Milano già a febbraio.

I donatori di sangue analizzati potevano quindi essere asintomatici che circolavano inconsapevoli di diffondere la malattia.

Un primo studio sierologico, così potrebbe essere definito, che sottolinea come siamo ben lontani dall’immunità di gregge.

Prati ha collaborato con Luca Valenti, del Policlinico di Milano, e con Gianguglielmo Zehender della Statale di Milano.

I ricercatori hanno esaminato circa 800 donatori di sangue sani presentatisi al Policlinico tra il 24 febbraio e l’8 aprile.

All’inizio dell’epidemia la sieroprevalenza era nel 4,6% dei donatori, cioè 1 persona su 20 era già venuta in contatto con il coronavirus. Durante il distanziamento sociale c’è stato un aumento fino al 7,1%.

“Lo scopo di questo studio – commenta ancora Prati – era di esaminare la presenza dell’infezione da SARS-CoV-2 in adulti asintomatici in una delle aree italiane più colpite”.

Inoltre, allo stesso tempo, “raccogliere più elementi possibili per comprendere i fattori di rischio e i valori di laboratorio associati alla malattia”.

La pratica del distanziamento sociale sembra aver favorito soprattutto i più giovani, che hanno avuto il tempo di sviluppare un’immunità a lungo termine.

In tutti i donatori, che hanno mostrato positività al virus, si sono verificate alterazioni nella conta delle cellule del sangue e nel profilo lipidico.

Due indizi che, secondo i ricercatori, potrebbero aiutare a inquadrare meglio le persone asintomatiche, cioè quelle che pur avendo il virus in circolo (ed essendo per questo contagiose) non manifestano la malattia. (Fonte: ANSA) 

 

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