ROMA -Negli Stati Uniti il tacchino del “Giorno del Ringraziamento” era già “condito”. Una ricerca americana ha scoperto che le carni vendute nei supermercati spesso sono infette. Lo stafilococco aureo è un batterio molto comune, ma quello trovato nelle carne è resistente all’antibiotico meticillina. Il contagio parte dagli allevamenti dove non sono eseguiti rigorosi controlli. Se l’Unione europea ha approvato etichette più “sane”, con le nuove carte di identità sugli alimenti che devono tracciare la provenienza delle carni, ciò non accade negli Usa, dove i cittadini non potranno sapere da quale allevamento proviene la carne che hanno nel piatto.
Il timore degli americani è non riuscire a contenere le infezioni e per questo stanno elaborando una politica di indagine per individuare i capi infetti e le zone con carne che presenta il batterio. Due squadre di ricercatori americani hanno fatto indagini personali alla ricerca del batterio nelle carni vendute nei supermercati.
Dalle ricerche è emerso che esistono 27 campioni di Mrsa, tra cui un ceppo modificato resistente alla tetraciclina. Un risultato importante perché lo stafilococco che colpisce l’uomo è resistente a molti antibiotici, ma è sensibile alla tetraciclina. Una modificazione di tale ceppo batterico che aggredisca l’uomo sarebbe difficile da curare. Inoltre i ceppi osservati provengono da altri paesi, tanto che un ricercatore teme che gli animali da allevamento possano essere dei veicoli di infezione per gli allevamenti americani.
La Food and Drug Administration, Fda, in collaborazione con l’università del Maryland ha testato 694 campioni di carne macinata di pollo, tacchino e maiale comprata nei supermercati di Washington. L’analisi ha mostrato che il 29 per cento era contaminata da stafilococco e il 17 per cento di tacchini e maiali presentava il ceppo Mrsa.
La Fda tenta dal 2004 di raccogliere informazioni sui medicinali con cui gli allevamenti trattano i propri animali, tentando di realizzare una mappatura delle infezioni. Un lavoro difficile da eseguire poiché non esiste un serio programma di analisi degli allevamenti a riguardo. I dati raccolti dai singoli ricercatori dunque non permettono di definire il rischio che corre la popolazione, né permettono al cittadino di sapere da dove proviene ciò che sta mangiando.