Carne, psicosi dopo allarme Oms: in 24 ore consumi giù 20%

Carne, psicosi dopo allarme Oms: in 24 ore consumi giù 20%
Carne, psicosi dopo allarme Oms: in 24 ore consumi giù 20%

ROMA – La parola che meglio descrive cosa è accaduto nelle 24 ore successive all’allarme oms su prosciutto, wurstel e tutte le carni rosse insaccate e lavorate è una sola: psicosi. Dice infatti Assomacellai (che proprio super partes nella tenzone non è) che in una sola giornata la vendita delle carni rosse è calata del 20%. Un italiano su 5, insomma, avrebbe letto o visto in tv dell’allarme e avrebbe deciso, di conseguenza, di mangiarsi un’insalata invece di una bistecca. Difficile da dimostrare.

Di certo l’allarme c’è ed è fondato. Il settore carni, solo in Italia, dà da lavorare a circa 180mila persone. Se la crisi dovesse diventare strutturale sarebbero diversi a rischiare il posto di lavoro. Ma a mandare segnali di tranquillità ci pensa la Confesercenti. Non sulla base di numeri ma di abitudini. Spiega infatti il presidente dell’associazione che l’Italia a tavola è un paese abitudinario. E che un conto è rinunciare al prosciutto per qualche giorno sulla base di un’ondata emotiva. Altra cosa è cancellarlo dalla propria dieta. Tempo qualche giorno, insomma, e passata la psicosi tutto potrebbe tornare come prima.

Anche perché, dopo l’allarme iniziale, sono arrivate le spiegazioni e i ridimensionamenti. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, per esempio, ha fatto capire che non è assolutamente da evitare la carne rossa. Lei stessa ha raccontato di averne mangiata, e tanta, durante la gravidanza su prescrizione medica. Dietologi e esperti dell’alimentazione sono compatti: non si tratta di eliminare ma di dosare le quantità in modo corretto.

Eppure, ovviamente, la preoccupazione resta. Perché c’è qualcosa di diverso in questo allarme da quello che ha portato, qualche anno fa, a mettere al bando per un po’ le bistecche con l’osso (questione mucca pazza) o il pollame (aviaria). Quelli erano allarmi transitori, legati a eventi specifici. Questo è un allarme generale, certe carni farebbero male sempre.  Spiega Ettore Livini su Repubblica:

Questa volta – dicono diversi esperti – è diverso. E le conseguenze per il settore rischiano di essere più profonde e durature. “Un conto è l’allarme per un rischio sanitario come la Bse – spiega Guerrieri – In quel caso, esaurito il pericolo di contagio, non ci sono controindicazioni a tornare alle proprie abitudini alimentari”. Lo studio Oms è invece un’altra storia: “La fonte è autorevole anche se mette assieme paesi e filiere molto differenti tra di loro – continua – Sono sicuro che toccherà l’opinione pubblica in maniera profonda. I contraccolpi saranno più pesanti di quanto si pensi ora”. I cartellini rossi delle authority contro le bevande gassate zuccherate – accusate di causare obesità e diabete – hanno ridotto in pochi anni del 25% i consumi di questi prodotti negli Usa. Le catene di fast food hanno pagato un conto salato alle campagne anti-hamburger. “Prevedo un aumento dei vegetariani”, assicura Guerrieri. E un accelerazione della tendenza ad acquistare più carne bianca (i consumi di pollame sono cresciuti dai 13 chili pro capite del 2006 ai 21 di oggi) e meno di quella rossa (quelli di bovini sono scesi da 24 a 21). “L’industria italiana potrebbe addirittura guadagnarne – si consola Tomei – La stessa Oms riconosce che la carne è un elemento essenziale per l’alimentazione. E tutti sanno che un prosciutto di Parma è diverso da un insaccato low cost e gli allevamenti nel nostro paese sono tutt’altra cosa rispetto a quelli Usa”. Si vedrà nelle prossime settimane, dati alla mano, se la pensano così anche i consumatori di casa nostra.

La Stampa, invece, con Alberto Mattioli se n’è andata nella cosiddetta “pig valley”, la zona dell’Emilia su allevamento maiali e produzione di insaccati da sempre prospera. E chi coi maiali vive è preoccupato e non poco. C’è chi grida al complotto, chi chiede di spiegare e di fermare la psicosi altrimenti sarà rovina. Scrive Mattioli:

Ci sono gli arrabbiati («Quelli sono matti! Due fette di salame non hanno mai fatto male a nessuno, anzi»), i dietrologi («È una manovra, così ci rovinano»), i sarcastici («Toglieteci tutto ma non il prosciutto»), gli ottimisti («Finirà come la mucca pazza, allarme per un mese e poi ciao»). Ma in piazza, davanti alla statua del maiale, la maggioranza per nulla silenziosa è preoccupata. Molto preoccupata.

Già, perché un conto è leggere che l’Organizzazione mondiale della Sanità dà veste scientifica all’immortale massima secondo cui a questo mondo tutte le cose piacevoli o sono immorali o sono illegali o fanno ingrassare, e un altro fare un giro a Castelnuovo Rangone, 14 mila abitanti a 13 chilometri da Modena, centro del distretto della lavorazione della carne più grande d’Europa: circa 150 aziende, per lo più piccole e medie, oltre 5 mila addetti e relative famiglie. Un po’ più in là, a Castelvetro, sono specializzati nel bovino; a Castelnuovo, nel maiale.

 

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