ROMA – Colesterolo: dimezzare la soglia di sicurezza da 190 a 100. Lo raccomandano le nuove linee guida della Società Europea di Cardiologia (Sec) secondo le quali più è basso il colesterolo cattivo (LDL) e meglio è. Ma come fare a rispettare un limite così rigido? Se così fosse, l’80% degli italiani risulterebbe malato. Alberico Catapano, dell’Università di Milano e membro della task force, ammorbidisce i toni: “Chi è a basso rischio (e lo è l’85% degli italiani) può scendere a 115, ma chi ha 130 non deve spaventarsi. Deve scendere sotto i 100, invece, chi è ad alto rischio e si trova a 190. Se poi è ad altissimo rischio, nel senso che è diabetico o ha già avuto campanelli d’allarme, allora sì, è bene che scenda a 70 o anche a 50 milligrammi per decilitro”.
Ma non sarà esagerato? Secondo Silvio Garattini, del Mario Negri di Milano, “questa riduzione dei valori di riferimento per l’Ldl potrebbe dare luogo a una forma di medicalizzazione ingiustificata”. In effetti, con questi nuove indicazioni moltissimi italiani – si stima circa 8 su 10 – dovrebbero iniziare a preoccuparsi di abbassare i propri livelli. E non solo, la guerra spietata al colesterolo, porterebbe anche “a un lievitare ingiustificato della spesa sanitaria, che aggraverà il bilancio del Servizio sanitario senza una reale necessità”. Ma i cardiologi europei precisano di non voler certo arrivare ai livelli degli Usa, dove le statine, cioè i farmaci che abbassano il colesterolo, sono prescritte “a tappeto”.
Va da sé che sono decisivi in tal senso il tipo di alimentazione che seguiamo e lo stile di vita. “Le Linee Guida – continua Catapano – prevedono due livelli di azione. Da un lato un regime alimentare specifico in base all’obiettivo che ci si pone, che può essere quello di ridurre il colesterolo complessivo oppure di aumentare quello HDL, il cosiddetto colesterolo buono. Cambiano, infatti, gli alimenti da preferire e da evitare, sulla base della loro efficacia specifica, scientificamente dimostrata”.
Qui, oltre alle consuete raccomandazioni generali di ridurre grassi ed aumentare l’attività fisica, emergono alcune nuove indicazioni. Catapano sottolinea la qualità di condimenti come aceto e senape, ma anche i possibili effetti negativi di cocco e oli tropicali. E aggiunge che “la soia, che spesso i cittadini introducono nelle diete, non serve a niente”. “Dall’altro lato – continua il professore – se la dieta non basta ed è necessario ricorrere ai farmaci, è necessaria una maggiore aderenza alla terapia, primaria e secondaria”.
E’ stato dimostrato infatti che a 6 mesi dall’inizio della cura “solo il 75% dei pazienti con sindrome coronarica acuta la segue regolarmente e il 70% degli infartuati, addirittura poco più del 50% fra quelli in prevenzione primaria. Dopo un anno le percentuali si abbassano ancora: rispettivamente al 50% nel primo caso, poco più del 40% nel secondo e meno del 30% nella prevenzione primaria. Due anni dopo i numeri precipitano: a 40%, poco oltre il 30% e al 20%”.
Per il farmacologo milanese “si tratta di percentuali molto basse, influenzate anche da alcuni fattori indipendenti predisponenti, come l’età elevata, il profilo socio culturale medio basso, la depressione, la prescrizione di dieci o più farmaci e l’assenza di eventi acuti nell’ultimo anno. Tanto che nelle nuove Linee Guida abbiamo inserito in quest’ambito – conclude l’esperto – suggerimenti su come aumentare l’aderenza anche ricorrendo a reminder e terapie combinate”.