Coronavirus, sos pandemia psichica. Parla lo psicologo Andrea Vaglica: "Quando finirà rischio agorafobia" Coronavirus, sos pandemia psichica. Parla lo psicologo Andrea Vaglica: "Quando finirà rischio agorafobia"

Coronavirus, sos epidemia psichica. Parla lo psicologo: “Quando finirà rischio agorafobia”

ROMA – Una cosa che non si può sottovalutare in questo momento è il come affronteremo il “dopo” crisi. La reclusione forzata sta già cambiando il nostro stile di vita. Ci sono coppie o nuclei familiari che non possono incontrarsi ma solo comunicare tramite la tecnologia. Ma cosa accadrà quando potremo di nuovo uscire di casa?

Ci sarà il pericolo di una nuova pandemia di natura psicologica che potrà produrre molti casi di agorafobia (la paura degli spazi aperti)? Lo domandiamo al dottor Andrea Vaglica, psicologo, specialista in Psicoterapia e socio dell’A.R.P.A. Associazione per la ricerca in psicologia analitica.

A tre settimane dall’inizio di questa crisi, le persone iniziano a sentire un vero e proprio senso di disagio. Quali sono le conseguenze dello stare chiusi in casa per tanto tempo?

Nell’ultimo mese è profondamente cambiata la nostra vita. La giusta necessità della quarantena che stiamo vivendo ha profondamente modificato il nostro modo di vivere. Abbiamo parecchie persone che si trovano senza lavoro o che si sono trovate costrette a modificare il proprio modo di lavorare. Abbiamo famiglie frammentate. Abbiamo migliaia di coppie non conviventi che si trovano a non vivere più una vicinanza e una sana sessualità.

O, al contrario, coppie in crisi che si trovano costrette a stare in una convivenza forzata per 24 ore al giorno. Anziani soli in casa. Famiglie non abituate a stare 24 ore in casa con i figli. Insomma, sono parecchie le situazioni di disagio e noi terapeuti dobbiamo rendercene conto.

Alla fine di questa emergenza dovremo essere pronti. Quali sono le emozioni più comuni che possiamo provare in un periodo come questo e come possiamo riconoscerle e affrontarle?

Il coronavirus ci spaventa. Abbiamo paura. Ed è giusto aver paura. Detto questo, quando abbiamo paura per qualcosa di reale e, contemporaneamente, evochiamo le angosce più profonde del nostro inconscio. Abbiamo quasi bisogno di quella paura reale per proiettarci inconsciamente le nostre ombre.

E questo virus sembra perfetto a questo scopo. La paura del contagio fa sì che ognuno possa essere, anche inconsapevolmente, un untore. Questo viene spesso amplificato e stimola in noi angosce paranoidee, per cui diffidiamo di chiunque incontriamo per strada o al supermercato.

In questi casi c’è una gran confusione tra rischio reale e rischio percepito. Nella fantasia paranoidea “l’altro” viene considerato pericoloso a prescindere dal fatto che sia o meno portatore del virus. L’aver perso la nostra libertà di uscire, di andare al mare, di frequentare i nostri amici, di poterci salutare con un abbraccio, viene percepito dalla nostra psiche come un lutto che, inevitabilmente, suscita in noi stati depressivi.

A complicare questo aspetto c’è l’angoscia del non sapere quando la quarantena finirà. L’inconscio vive tutto ciò come un lutto depressivo anche in persone che non hanno mai sperimentato questa patologia. Chi soffriva di fobia da contaminazione e chi ha un disturbo sociale di personalità vede realizzarsi nella realtà il proprio modo di vivere problematico.

Come in un particolare meccanismo, che lega a livello inconscio paura e desiderio, è possibile per alcune persone realizzare una specie di “timorgaudium”, una gioia inconscia di vedere realizzate le proprie paure. Per cui, chi aveva la fobia di contaminazione può tra sé esclamare: avevo ragione io! E l’asociale può idealmente pensare: beh, adesso tutti vivete quello che io prevedo da sempre!

Come stanno cambiando le abitudini delle persone, i rapporti familiari, di coppia e di amicizia?

In alcuni casi il cambiamento è anche positivo. So di famiglie che si riuniscono a tavola facendo grandi partite a carte e condividendo la preparazione dei pasti. Coppie che sperimentano una rinnovata complicità sessuale. Nuove complicità tra genitori e figli.

Grandi riunioni virtuali tra amici, con programmi che consentono videochiamate multiple. Ma per alcuni è dura. Un esempio sono le coppie in crisi che peggiorano il loro stato con livelli di insopportazione pericolosi.

Quando le persone potranno uscire di casa c’è il pericolo di un manifestarsi di fobie sociali come la paura degli spazi aperti, l’agorafobia o delle persone, l’antropofobia?

Sicuramente. Immagino una ripresa della vita sociale e lavorativa graduale. Non credo che si ritorni da un giorno all’altro alla situazione precedente di un mese fa. Immagino, ed è auspicabile, che ci permetteranno di uscire prima che l’epidemia sia risolta del tutto. Auspicabile perché altrimenti corriamo il rischio di avere una popolazione con un contagio ridotto, ma con un clamoroso aumento di psicopatologie.

Il rischio che vedo è quello di affiancare a una pandemia da Covid 19 una epidemia. Psichica. Effettivamente, quando sarà possibile uscire liberamente, uno dei pericoli è l’agorafobia, per la quale la casa può essere immaginata come un luogo sicuro e protettivo, mentre il mondo esterno potrebbe essere visto come pericoloso e contenitore delle angosce paranoidee di cui parlavo precedentemente.

La psicoanalisi ci insegna che le fobie sono sempre il vissuto cosciente di conflitti interiori e quindi inconsci. Ognuno di noi può essere portatore di conflitti e questa situazione potrebbe amplificarli e quindi potenzialmente potrebbe trasformarli in una fobia. Che opportunità offre a livello psicologico un periodo come questo? Molte. Ognuno di noi ha a disposizione più tempo libero.

Sappiamo che per Jung la salute psichica corrisponde al percorso di Individuazione: il processo che ci consente di divenire noi stessi. In un periodo come questo è fondamentale investire sulla nostra persona. In qualunque modo riteniamo costruttivo. Aggiornandoci sul lavoro, seguendo una passione, meglio se artistico/creativa, e riflettendo in generale sul nostro percorso di vita.

Può essere utile stabilire un miglior rapporto con il nostro mondo interno, scrivere i nostri sogni, anche se non stiamo facendo un percorso psicoanalitico. Insomma, sfruttiamo l’occasione che abbiamo di stare più tempo con noi stessi.

Che consigli può dare alle persone per affrontare meglio questo periodo?

Dal mio punto di vista, bisogna porre attenzione non solo alla realtà esterna ma anche a quella interna. Le infezioni aggrediscono maggiormente gli individui deboli, visti come un’unità corpo/mente. Diventa quindi fondamentale una buona igiene mentale che ci liberi da cattive abitudini psicologiche, fatte di pensieri negativi e di una overdose di informazione di fake news, fantasie di complotto e di neo improvvisati finti medici dai pronti rimedi stravaganti. S

e ci accorgiamo che nei nostri pensieri c’è qualcosa di problematico non dobbiamo esitare a rivolgerci a uno psicoterapeuta o a uno psicoanalista. In questo periodo è possibile uscire per motivi di salute anche per la psicoterapia. E comunque molti di noi, in questo periodo, lavorano in videochiamata: Skype, Facetime o whatsapp. Noi ci siamo e dobbiamo esserci.

Un’ultima domanda: come possiamo prepararci per poter vivere meglio il dopo crisi?

Questa pandemia finirà, com’è stato per tutte le pandemie del passato, forse con un vaccino, o forse perderà di pericolosità, non sappiamo bene come, ma finirà. Dovremo accettare di recuperare al meglio le sane relazioni sociali, evitando eccessi e riprendendo il nostro percorso di crescita personale. Mi piace avere il pensiero positivo che, finito tutto, parteciperemo a una importante crescita economica.

Tutto ciò, in sintonia con una crescita individuale, pensando che avremo imparato a dare un valore non scontato al nostro benessere. Voglio immaginare un grande abbraccio, finalmente, che unisca il nostro mondo interno alla realtà circostante in una rinnovata visione di “Anima Mundi”.

Gestione cookie