Coronavirus, il professor Remuzzi: “Oggi positivo non vuol dire contagioso. L’Iss e il governo devono comunicare di conseguenza”

MILANO  –  “L’Istituto superiore della Sanità e il governo devono rendersi conto di quanto e come è cambiata la situazione del coronavirus da quel 20 febbraio ormai lontano. E devono comunicare di conseguenza. Altrimenti si contribuisce, magari in modo involontario, a diffondere paura ingiustificata”: a dirlo, in un’intervista al Corriere della Sera, è il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche Farmacologiche Mario Negri. 

Ma non è l’unico. Sono molti medici impegnati in prima linea nei reparti Covid della Lombardia che sottolineano un concetto molto chiaro: i positivi di adesso non sono i positivi di due, tre mesi fa. 

Per questo alla domanda di Marco Imarisio sull’ipotesi di una chiusura della Lombardia Remuzzi è categorico: “Ma per carità”. 

I numeri del bollettino quotidiano, infatti, vanno letti. E così quei 216 casi registrati giovedì 18 giugno in Lombardia su 333 di tutta Italia “non preoccupano se sono positivi allo stesso modo di quelli della nostra ricerca, ovvero con una positività ridicolmente inferiore a centomila. Perché non possono contagiare gli altri”.

Per capire la contagiosità reale, spiega Remuzzi, c’è un solo modo: “Bisogna dire quanto Covid-19 c’è nelle nuove positività. E quello che sto chiedendo. Il virus è lo stesso, certo. Ma per ragioni che nessuno conosce, e forse per questo c’è molta difficoltà ad ammetterlo, in quei tamponi ce n’è poco, molto meno di prima. E di questo va tenuto conto”.

Coronavirus, lo studio dell’Istituto Mario Negri

Lo studio condotto dal Mario Negri ha avuto come campion 133 ricercatori dell’Istituto e 298 dipendenti della Brembo. “In tutto, quaranta casi di tamponi positivi – spiega Remuzzi -. Ma la positività di questi tamponi emergeva solo con cicli di amplificazione molto alti”. 

Questo significa “che sono casi di positività con una carica virale molto bassa, non contagiosa. Li chiamiamo contagi, ma sono persone positive al tampone. Commentare quei dati che vengono forniti ogni giorno è inutile, perché si tratta di positività che non hanno ricadute nella vita reale”.

Quindi spiega: “Sotto le centomila copie di Rna non c’è sostanziale rischio di contagio. Quindi, nessuno dei “nostri” 40 positivi risulterebbe contagioso. Questo significa che il numero dei nuovi casi può riguardare persone che hanno nel tampone così poco Rna da non riuscire neppure a infettare le cellule. A contatto con l’Rna dei veri positivi, quelli di marzo e inizio aprile, le cellule invece morivano in poche ore”.

E lo studio dell’Istituto Mario Negri non è l’unico a riscontrare queste evidenze: “Uno studio del Center for Disease Prevention della Corea su 285 persone asintomatiche positive ha rintracciato 790 loro contatti diretti. Quante nuove positività? Zero. E le risparmio altri studi che vanno in questa direzione”. 

L’attuale sistema basato sui tamponi, sottolinea Remuzzi, “sta andando avanti in modo burocratico con delle regole che non tengono conto di quello che sta emergendo dalla letteratura scientifica”.

Questo è il concetto ribadito da molti medici che hanno visto l’epidemia nei giorni della strage, e che ora dicono chiaramente che i positivi di adesso non sono come quelli di mesi fa. E forse i danni di una errata comunicazione, che snocciola numeri senza contestualizzarli, rischiano di essere peggiori di quelli del coronavirus.

L’epidemiologo Lopalco: “Ai tamponi positivi dobbiamo dare un significato”

“Ai tamponi dobbiamo dare un significato. Noi abbiamo dei tamponi positivi ma non significa che abbiamo persone con un’alta carica virale che possano effettivamente portare a nuove catene di contagio efficaci. Ecco perché va fatta un’analisi dettagliata di chi sono questi nuovi positivi”. Così ad Agorà l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco ha commentato le parole di Remuzzi. “Resta però il fatto che il virus c’è e le precauzioni devono essere prese” ha insistito Lopalco.

Il professor Zangrillo: “Il Covid c’è ancora ma non dà più la malattia”

“Il lockdown è stato efficace, anche se drammatico per l’economia. Però se continueremo a comportarci bene, se seguiremo le norme igieniche che ben conosciamo, sono certo di una cosa: a fine mese, almeno all’aperto, faremo a meno delle mascherine”. A dirlo il professor Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano, in una intervista al Quotidiano Nazionale. 

“L’ultimo paziente entrato nella terapia intensiva del San Raffaele – spiega Zangrillo – risale al 18 aprile” e “l’ultimo positivo al virus ricoverato in reparto ordinario, con una sintomatologia semplice, è di dieci giorni fa” e ciò significa che “il Covid c’è ancora, non è mutato ma l’interazione virus-ospite non dà più la malattia”.

Pertanto, secondo il medico, i tamponi più recenti “hanno mostrato una carica vitale di gran lunga attenuata rispetto ai prelievi di uno-due mesi fa”.

Il professore del San Raffaele ci tiene a precisare un concetto, che “è ora di ribadire: un paziente positivo non è malato. E il numero giornaliero dei contagi non ingrossa le fila dei malati. Punto” perché “il riscontro clinico è l’unica sentinella che fa testo – afferma Zangrillo – e in ospedale non entrano più malati”.

“Gli italiani – chiude poi – sono già stati terrorizzati abbastanza. E soprattutto disinformati”, chiosa. (Fonti: Il Corriere della Sera, Ansa)

 

 

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