Covid, perché in alcune città più di altre: all’aperto mai, in casa e negli uffici ancora

Nelle città dove maggiori sono i flussi e i movimenti delle persone e negli ambienti chiusi poco ventilati, come le abitazioni private: sono questi i terreni ideali di diffusione del contagio da Covid. Non una sorpresa, era facile immaginarlo, ma ora lo confermano due diversi studi. Studi che saranno utili, speriamo, per il futuro.

All’aperto, mantenendo una distanza di sicurezza minima di un metro, metro e mezzo, le possibilità di contagio sono di fatto inesistenti. “All’aperto praticamente non esiste”, scriveva La Stampa raccontando di uno studio condotto in Piemonte. Non esiste perché il naturale movimento dell’aria disperde il virus espulso da soggetti infettati. Tanto per fare un esempio pratico, un colpo di tosse di un malato all’aria aperta ha un po’ lo stesso effetto e la stessa dinamica di una goccia d’inchiostro gettata nel mare: si disperde immediatamente, svanendo.

Il Covid al chiuso

Meno ovvio che questa possa accadere anche al chiuso. Ma accade. E accade proprio là dove ingenuamente meno ce lo saremmo aspettati: negli ospedali. Questo perché in aiuto arrivano i sistemi di ricambio dell’aria. Così, nelle strutture attrezzate, il ricambio d’aria forzato pulisce l’ambiente e rende il contagio più difficile. Persino nei reparti Covid, dove i sistemi di areazione funzionano bene, le possibilità di contagio sono basse. O relativamente basse.

Dove invece sono alte è nelle case. Ed è semplice capire il perché. La maggior parte delle abitazioni private, anzi la totalità, non posseggono un sistema di ricambio dell’aria come può avere un ospedale o anche solo un ‘semplice’ locale commerciale. C’è, è vero, l’aria condizionata in moltissime case italiane. Ma non è un ricambio dell’aria.

Il Covid nelle scuole e negli uffici 

A preoccupare, leggendo i risultati ottenuti dal centro regionale di biologia molecolare di Arpa Piemonte, in collaborazione con il laboratorio di virologia molecolare e ricerca antivirale del polo universitario San Luigi Gonzaga di Orbassano, sono allora la scuola e gli uffici pubblici. Perché se all’aperto non c’è rischio o quasi, e se laddove è presente un buon sistema di ricambio dell’aria nemmeno, tutti sappiamo che sistemi simili nelle scuole e in molti uffici pubblici semplicemente non esistono. Sulle dinamiche del contagio influisce, come suggerisce lo studio “Role of urban planning characteristics in forming pandemic resilient cities”, appena pubblicato sulla rivista Cities, anche la ‘forma’ delle città. O meglio la loro organizzazione interna.

In Italia sappiamo che Milano è stata la città che ha pagato il prezzo più alto al Coronavirus. Perché? Perché è una città “radiale”, spiega lo studio, e le città costruite in questo modo sono quelle che più hanno visto diffondersi il contagio al loro interno. Come argomenta però lo stesso studio, non è tanto l’organizzazione urbanistica delle città prese in esame a fare la differenza, ma la quantità degli spostamenti interni che avvengono sui mezzi e la capillarità del sistema di trasporto pubblico. “Spesso le città a conformazione radiale hanno una miglior connessione interna”, spiegano i ricercatori.

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