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Decreto sanità: medici h24 solo se paga la Regione. Fino al 2015 tutto bloccato

di Warsamé Dini Casali |6 Settembre 2012 10:19

ROMA – Mini ospedali distribuiti su tutto il territorio, copertura sanitaria sette giorni su sette e 24 ore su 24, l’invito ai 90 mila medici di base e specialisti delle Asl convenzionati con il Sistema sanitario nazionale a mettersi in rete, a fare squadra, a organizzare poliambulatori flessibili e ricettivi. Se non fosse che il governo ha fatto, finora, i conti senza l’oste, il decreto sanità a firma Balduzzi appena approvato sarebbe una rivoluzione. Perché l’oste, il SSN (servizio sanitario nazionale) è finanziato dalle Regioni, delle quali ha dissestato i bilanci e per le quali, per arrestarne l’emorragia finanziaria, in molti capoluoghi addizionali Irpef e aliquote Imu maggiorate gravano sul cittadino tartassato.

Il provvedimento licenziato con l’ambizioso titolo “Disposizioni urgenti per promuovere lo viluppo del Paese attraverso la tutela della salute” contiene all’interno la clausola cautelativa che rinvia ad altra sede e altro tempo la sua applicazione effettiva. La creazione di maxi-ambulatori sempre aperti dove trovare il medico di famiglia, l’infermiere, il pediatra, lo specialista, sarà infatti condizionata dalle risorse che le Regioni avranno a disposizione per realizzare queste strutture: “nei limiti delle disponibilità finanziarie erogate dal Servizio sanitario nazionale”, stabilisce chiaramente il decreto.

Sì, perché, è evidente, la razionalizzazione non potrà avvenire a costo zero: se sarà h24, succederà perché a pagare è la Regione. Il decreto legge dovrà essere convertito e al momento, la media del governo sui provvedimenti attuativi Monti è abbastanza mortificante: il 13%, 36 andati in porto sui 419 da attuare. L’ostacolo più grande, naturalmente, sarà il tavolo della Conferenza Stato Regioni. Quindi c’è il nodo della modifica dei principi base degli accordi collettivi nazionali, il cui rinnovo è bloccato fino al 2015.

Il decreto stabilisce inoltre che le Regioni possono attuare “processi di mobilità del personale delle aziende sanitarie con ricollocazione del medesimo presso altre aziende sanitarie della Regione, situate al di fuori dell’ambito provinciale”. Il tutto, “previo accertamento delle situazioni di eccedenza”. Una norma che ha già sollevato le proteste dei sindacati di categoria, le stesse che riguardano i diversi ambiti dove viene esercitata la spending review.  Si domanda Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera, richiamando le molte insidie e le non poche velleità del provvedimento: “”Se il sistema che si è interposto tra medico e paziente va cambiato […] quali saranno gli strumenti attuativi che i governatori e i loro assessori alla Sanità riusciranno ad applicare per dare garanzie ai medici che si associano”. Quali saranno, in definitiva, gli incentivi perché un medico sia disposto a cambiar pelle? E saranno affidati a quei dirigenti di Asl, che da altre parti nel provvedimento, sono considerati una mera espressione della ingerenza dei partiti?

 

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