Depressione post parto: cos’è, come riconoscerla, come superarla

DEPRESSIONE POST PARTO
Depressione post parto: cos’è, come riconoscerla, come superarla

ROMA – Dopo il parto, fino all’80% delle neomamme soffre di una lieve forma di tristezza (baby blues), mentre il 10-15% va incontro a una vera e propria depressione

Non sempre è facile accorgersi che qualcosa non va, anche perché spesso le donne colpite tendono a sottovalutare, minimizzare o nascondere i sintomi, anche per corrispondere all’idea di maternità come oasi felice riconosciuta a livello sociale. “La nascita è per definizione un lieto evento, e in generale si fa fatica a capire perché una neomamma dovrebbe stare male in un momento del genere. E invece è possibile e anche frequente” spiega la psichiatra Franca Aceti, responsabile dell’Unità operativa di Igiene mentale delle relazioni affettive e del post-partum presso il policlinico Umberto I di Roma.

Alcuni segnali, però, possono aiutare a capire che c’è qualche problema. In caso, nessuna paura: oggi sono disponibili strategie terapeutiche che permettono di affrontarlo e superarlo.

“I sintomi più comuni riguardano il cosiddetto baby blues o maternity blues” afferma Mauro Mauri, direttore dell’UO di Psichiatria universitaria 2 dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana e responsabile di un gruppo di ricerca dedicato alla depressione perinatale. “Si tratta di una sorta di tristezza del post parto che colpisce in genere 3-4 giorni dopo la nascita del bambino e dura al massimo una settimana, durante la quale si può soffrire di umore labile, con facile tendenza al pianto, tristezza, ansia, irritabilità, difficoltà di memoria e concentrazione”.

Il baby blues non è un vero e proprio disturbo, ma una condizione quasi fisiologica e molto frequente, che può interessare fino all’80% delle mamme.
Nella grande maggioranza dei casi, questa tristezza passa da sola: basta stare vicino alla mamma, sostenerla, cercare di darle una mano se ha qualche difficoltà per esempio con l’allattamento e, se è già tornata a casa dall’ospedale, darle modo di non affaticarsi troppo e di concentrarsi sul bambino. A volte però, la tristezza persiste e diventa una vera e propria depressione post parto, un disturbo che colpisce il 10-15% delle mamme e si manifesta in genere dal terzo mese al primo anno dopo il parto.

In questo caso i sintomi sono quelli tipici appunto della depressione: ansia e preoccupazione, umore abbattuto e depresso, con tendenza a vedere tutto nero, perdita di interesse o di piacere nel fare le cose, alterazioni del sonno – si può soffrire d’insonnia o, al contrario, dormire troppo – e dell’appetito, che può essere (molto) più scarso o più abbondante del normale. “Inoltre ci sono manifestazioni legate in modo specifico alla maternità, come il senso di inadeguatezza rispetto al fatto di prendersi cura del bambino” precisa Aceti. In pratica, ci si sente incompetenti, incapaci di far fronte alle esigenze del piccolo.

Perché succede: cause e fattori di rischio

Bisogna distinguere tra baby blues e depressione vera e propria. Nel primo caso, a entrare in gioco sono soprattutto i bruschi cambiamenti ormonali che intervengono nell’organismo della mamma subito dopo il parto e il forte stress psico-fisico legato a travaglio e parto. Altri fattori che possono contribuire sono la fatica fisica, una normale ansia legata all’aumento della responsabilità, l’eventuale presenza di contrasti con il compagno e i familiari rispetto alla gestione del piccolo.

Per quanto riguarda la depressione post parto vera e propria, le cause non sono del tutto note. “Di nuovo, c’è probabilmente una base biologica data dai cambiamenti ormonali tipici della gravidanza e del periodo successivo alla nascita, sulla quale si innestano però altri fattori” afferma Mauri.

I principali fattori di rischio elencati dalla letteratura scientifica per la depressione post parto sono:

  • aver sofferto di ansia o depressione durante la gravidanza;
    aver sofferto di ansia e depressione in precedenza, anche prima della gravidanza;
    familiarità per disturbi psichiatrici (cioè avere familiari stretti che ne soffrano);
    vivere o aver vissuto di recente situazioni molto stressanti, come un lutto, una separazione, la perdita del lavoro;
    vivere una condizione di scarso supporto familiare o sociale, con precarietà dei rapporti affettivi e mancanza di reti sociali a cui fare riferimento in caso di difficoltà;
    difficoltà o precarietà economiche;
    soffrire di sindrome premestruale o disturbo disforico premestruale;
    soffrire di disturbi della funzionalità tiroidea.
    “Alcuni studi suggeriscono che anche aver fatto ricorso a tecniche di fecondazione assistita possa rappresentare un fattore di rischio” aggiunge Franca Aceti. Più controverso, invece, il ruolo dell’esperienza del parto: un articolo di revisione della letteratura scientifica appena pubblicato sulla rivista Midwifery suggerisce che effettivamente esperienze di parto traumatiche e negative possano contribuire all’insorgenza di depressione post parto, ma si tratta di un fattore il cui peso reale è ancora da definire con chiarezza.

Come intervenire

Se ci si rende conto che qualcosa non va, che il tempo passa e sintomi come tristezza, angoscia, apatia, disturbi del sonno e così via non si allentano, la cosa migliore da fare è parlarne con qualcuno. Potrebbe trattarsi del medico di base, oppure di uno specialista psicologo o psichiatra, magari all’interno di strutture sanitarie presenti sul territorio, come i centri psicosociali o i consultori.

Lo specialista consiglierà il da farsi, a seconda della gravità della situazione. “A volte, già il semplice fatto di parlarne con qualcuno migliora la situazione. Molte ansie e paure sono ingigantite dal fatto di tenerle nascoste, perché si pensa di essere le sole a provarle, quando invece sono piuttosto comuni” sottolinea Mauri.

 

Gestione cookie