MILANO – Hanno ricostruito le funzioni del pancreas nel midollo osseo, che così diventa un “organo puzzle”. Questa la nuova ricerca del San Raffaele di Milano che pone le basi per una nuova cura contro il diabete. La ricerca è stata definita “una reale speranza per i malati di diabete” da Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia. Sono quattro i pazienti a cui era stato asportato completamente il pancreas e che sono stati sottoposti all’operazione al midollo osseo. Lo studio del San Raffaele è stato pubblicato sulla rivista Diabetes ed è il primo nel suo genere, con un approccio del tutto innovativo alla patologia.
DAL PANCREAS AL MIDOLLO OSSEO – Il punto di partenza è stato il trapianto di isole pancreatiche che permette di curare il diabete e che viene eseguito in chi soffre di diabete mellito di tipo 1, refrattario alla normale terapia, e di diabete di tipo 3c. I ricercatori hanno recuperato dal pancreas prelevato chirurgicamente le cellule endocrine ”ricostruendolo” nel midollo delle ossa dello stesso paziente, a livello del bacino e ottenendo una sorta di ”organo puzzle” che ha attecchito e funzionato per quasi 3 anni.
IL DIABETE 3C – Il diabete di tipo 3c colpisce i pazienti a cui viene asportato chirurgicamente il pancreas perché ovviamente perdono la funzione dell’organo, di cui la più importante è la regolazione del metabolismo degli zuccheri, che dipende dalla produzione di ormoni come l’insulina e il glucagone. E’ una malattia difficile da controllare anche con le più avanzate terapie insuliniche. Le conseguenze per il paziente sono il peggioramento della qualita’ di vita e il rischio di complicanze, anche gravi, come il possibile coma ipoglicemico.
APPROCCIO INNOVATIVO – Lorenzo Piemonti, responsabile del programma di trapianto di isole pancreatiche e dell’Unità della Biologia delle Beta Cellule al Diabetes Research Institute (DRI) del San Raffaele, ha spiegato: “L’approccio utilizzato in questi pazienti è innovativo. E’ un risultato straordinario e potrebbe aprire in generale scenari inaspettati nel campo della medicina rigenerativa”.
Con Piemonti anche lo staff di Fabio Ciceri, responsabile di ematologia e trapianto cellule staminali, lo studio clinico finanziato dal ministero della Salute e da fondi Ue. Ciceri ha spiegato: “Normalmente, nella pratica clinica, fino ad oggi il midollo osseo è stato utilizzato per accogliere trapianti di cellule staminali ematopoietiche in pazienti con malattie come la leucemia. E’ straordinario vedere come in realtà questo ambiente sia in grado di accogliere anche altri tipi di tessuti”.
NUOVA SPERANZA CONTRO IL DIABETE – Stefano Del Prato parla di una nuova speranza contro il diabete: “La strada scelta dai ricercatori milanesi è altamente promettente, perché i test sono stati condotti sull’uomo. I pazienti trattati erano ‘particolari’, perché avevano dovuto subire l’asportazione del pancreas, ma questo studio mostra una strada nuova che si può seguire, e credo proprio che al San Raffaele ci stiano già pensando”.
Ma per ora la nuova sperimentazione non può essere estesa ai pazienti che hanno ancora il pancreas, spiega Del Prato: “I pazienti trattati hanno potuto fare un trapianto con le proprie cellule pancreatiche per intervenire in chi non le ha più bisogna utilizzare invece quelle di donatori. In questo caso però c’è il problema del rigetto, e bisognerà valutare se l’innesto nel midollo osseo è più o meno pericoloso da questo punto di vista”.
MIDOLLO OSSEO O STAMINALI? – Per il momento è il trapianto delle isole pancreatiche l’opzione più efficace per i pazienti diabetici, nonostante le ricerche in tutto il mondo stiano verificando diverse altre possibilità per sostituire il pancreas, afferma Del Prato: “Servono però più donazioni, con organi validi da cui sia possibile estrarre un numero sufficiente di cellule. Tra le altre alternative a cui stanno lavorando i ricercatori di tutto il mondo direi che le staminali sono molto indietro, forse è più vicino un pancreas sintetico in grado di svolgere almeno alcune funzioni. Se poi si troverà un modo per proteggere di più le isole una volta trapiantate il metodo dei ricercatori milanesi potrebbe avere una grande applicazione”.
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