Farmaci ‘maschilisti’: sperimentare ‘rosa’ costa troppo, meglio test sull’uomo

ROMA – Il mondo dei farmaci è “maschilista”. Le caratteristiche delle “cavie” tipo per le sperimentazioni farmacologiche sono il sesso maschile, età tra i 20 ed i 40 anni, razza bianca e peso medio di 70 chili. Non si tratterebbe comunque di discriminazione verso le donne, ma di necessità fisiologiche. Le variazioni ormonali legate al ciclo mestruale o la possibilità di gravidanze non accertate non le rendono un campione ideale. Condizioni fisiologiche che però il sesso femminile paga negli effetti collaterali. Il farmaco che non mostra effetti altamente negativi per l’uomo utilizzato nella ricerca, può rivelarsi non adatto a terapie nelle donne. La sperimentazione sulle donne non rimane comunque impossibile, ma si rivela solo più costosa per le tecniche di analisi che andrebbero adottate.

La cardiologa Maria Grazia Modena, medico e socio fondatore della International society of gender medicine, Igm, spiega: “Il maschio è un soggetto più adatto ai test perché non presenta tutta una serie di fattori fisiologici “confondenti2, tipici invece della donna. Si tratta di variazioni ormonali costitutive, altre legate al ciclo mestruale, all’allattamento e alla menopausa. Infine esiste sempre la possibilità che la donna abbia una gravidanza ancora non clinicamente rilevabile, fatto che la esclude dai test perché potenzialmente dannosi per l’embrione”.

Ma l’essere tagliata fuori dalle sperimentazioni rappresenta per la donna uno svantaggio. Un esempio viene dai medicinali per il cuore, come spiega la Modena: “La tosse è un effetto avverso di molti medicinali per il cuore, che si riscontra solo nel 6% dei pazienti maschi, ma nel 20 delle pazienti femmine, così come l’edema alle gambe, elementi che portano spesso la donna ad abbandonare la cura”.

Il motivo per cui ciò accade è che “la donna ha modalità di assorbimento e distribuzione del farmaco nell’organismo diversa da quella dell’uomo e anche una quantità di enzimi epatici, che servono ad attivare e processare i principi attivi, molto maggiore, Tutto ciò espone il ‘genere’ femminile con più frequenza a una serie di effetti indesiderati”.

Questo non vuol dire che una sperimentazione ad hoc per le donne sia impossibile, ma solo molto costosa. Sarebbe necessario individuare dei metodi di analisi che tengano conto degli “effetti confondenti” legati alle variazioni ormonali, per ottenere dei risultati dai test attendibili. Una sperimentazione di questo tipo sarebbe però auspicabile, in considerazione del fatto che le donne soffrono più dell’uomo, come mostrano le stime del ministero della Salute. Statistiche alla mano, le donne soffrono di allergia dell’8 percento in più rispetto all’uomo, del 9 percento di diabete, del 49 percento di artrite e artrosi, del 123 percento di cefalea ed emicrania, e del 736 percento di osteoporosi.

Insomma la salute delle donne appare più a rischio, ma la case farmaceutiche sembrano non accorgersene. Poco importa se il rapporto della popolazione sia di 1 uomo ogni 7 donne, la sperimentazione viene considerata comunque sempre troppo costosa. E alle donne non resta altro da fare che attendere che il mercato dei farmaci e le aziende farmaceutiche decidano di investire nella sperimentazione e abbandonare il “maschilismo” farmaceutico che le contraddistingue.

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