Italiani, popolo di… depressi: ben 4 milioni. Nel mondo 1 su 4 ha disturbo mentale

Italiani, popolo di... depressi: ben 4 milioni. Nel mondo 1 su 4 ha disturbo mentale
Italiani, popolo di… depressi: ben 4 milioni. Nel mondo 1 su 4 ha disturbo mentale

MILANO – La depressione colpisce 33 milioni di persone in Europa ed è prossima, secondo l’Oms, a superare il triste primato delle malattie cardiovascolari come patologia cronica più diffusa. Più in generale, un quarto della popolazione mondiale soffre di almeno un disturbo mentale, mentre in Italia sono 4 milioni gli italiani con problemi di questo tipo (2,7 milioni le donne, 1,3 milioni gli uomini).

A riportare i dati sono gli esperti della Società Italiana di Psichiatria (Sip), il cui convegno si apre domani a Milano. “Nel mondo – dicono gli specialisti – sono 400 milioni le persone con depressione, attualmente terza causa di disabilità mondiale, con un costo totale pari a 800 miliardi di dollari. Il 56% di loro non riceve un trattamento efficace, e alcune stime prevedono che possa diventare entro il 2020 la seconda malattia più invalidante al mondo, nel 2030 la patologia cronica più frequente”.

Secondo gli studi, rispetto a 10 anni fa oggi le persone hanno una salute fisica migliore, ma una peggiore salute mentale: una conferma è nel dato che “in un’area metropolitana come Milano l’8% della popolazione ha avuto una prescrizione di antidepressivi”. Inoltre, queste malattie hanno un’alta percentuale di ricaduta: “Se una persona ha avuto due episodi depressivi, la probabilità che ne abbia un terzo sale al 75%, che diventa il 90% se ha già avuto tre episodi”. Infine, il vero peso economico della depressione è rappresentato dai costi indiretti: “In Europa – conclude la Sip – un lavoratore su dieci si assenta dal lavoro a causa di questa patologia, per un totale di 21mila giorni di lavoro persi. Il depresso che non si assenta lotta con mancanza di concentrazione, indecisione, perdite di memoria: un fenomeno che secondo alcune stime potrebbe avere costi anche cinque volte superiori a quelli dell’assenteismo vero e proprio”. .

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