Sondaggio, il 55% dice: “Caro medico mi devi obbedire, il parto è mio e lo decido io”

di Lucio Fero
Pubblicato il 11 Ottobre 2010 - 15:40 OLTRE 6 MESI FA

La Sanità, e anche la salute, sono state “privatizzate”. Non ce ne siamo accorti, eppure è avvenuto nella nostra testa. Abbiamo trasformato sanità e salute in fatto e volontà “privata”, fatti di nostra competenza, da plasmare e pretendere secondo i nostri desideri, desideri e perfino voglie. Per sanità e salute una privatizzazione culturale che è avvenuta nelle coscienze e nel sentir comune. Una privatizzazione di massa, di popolo. Una privatizzazione ad altissimo rischio. Nessuno infatti, se si ingolfa o rompe la conduttura del water, se la caldaia del riscaldamento non funziona più e minaccia perdite di gas, se l’automobile non ha più i freni efficienti, penserebbe mai di “dettare” all’idraulico, al tecnico, al meccanico quale tubo toccare, quale valvola stringere, quale “pasticca” applicare e come e dove far tutto questo. Eppure a domanda il 55 per cento risponde in un sondaggio di Blitz che il parto come debba essere e come debba essere fatto lo devono decidere altri che non siano “l’idraulico, il tecnico o il meccanico”. Caro medico mi deve obbedire, il parto è mio e lo decido io: questa la volontà e la convinzione della maggioranza di chi ha risposto al sondaggio.

Cesareo o naturale? Per il 26 per cento lo deve decidere “la donna”. Per il 26 per cento dunque è un’opzione tutta nelle mani del “cliente” che paga, qualcosa su cui può e deve avere l’ultima parola. Un altro 12 per cento dice che a decidere deve essere la “coppia” e un altro 17 per cento risponde che deve decidere il “ginecologo di fiducia”, anche se questi non è in sala parto. Sommando le tre risposte si ha dunque il 55 per cento che ritiene do dover e poter sottrarre al “medico che è in sala parto” la decisione. Questo medico non viene sentito e vissuto come una garanzia, un presidio ma come un esecutore. Poco più di un “commesso” che fornisce la merce richiesta. La competenza clinica ha valore decisivo solo per il 45 per cento di coloro che hanno risposta, la minoranza che assegna e concede l’ultima parola al medico che è lì in quel momento, nella sala parto di un ospedale pubblico o di una clinica privata. Anche qui, in questa cultura diffusa, la ragione del 40 per cento di media dei parti cesarei in Italia, il doppio della media europea, e del circa 80 per cento dei parti cesarei nelle cliniche private.

Cultura della diffidenza e della estraneità nei confronti della competenza medica che emerge anche dalla risposta alla seconda domanda: se un intervento chirurgico o una terapia vanno male, di chi è la “colpa”? Il 44 per cento risponde che è colpa del medico, il 22 per cento che è colpa del sistema sanitario. Solo un 24 per cento pensa possa essere “colpa” della malattia e un altro 10 per cento della “sfortuna”, del caso. Dunque, del medico e del sistema sanitario non ci si fida, ma singolarmente si pensa che la medicina sia potenzialmente onnipotente. Se onnipotente non risulta, allora c’è “colpa”. Degli uomini e delle donne che curano. La felice riuscita di un intervento chirurgico eo di una terapia nella nostra testa è assimilata al buon funzionamento di un televisore o di un telefonino che abbiamo appena comprato: se non funziona, è “colpa” di chi l’ha venduto.

Infatti la guarigione è un “diritto” per ben il 33 per cento di coloro che hanno risposto. Uno su tre pensa che guarire sia al tempo stesso obbligatorio e garantito: un diritto, come quello di voto e di parola. Uguale per tutti. Solo il 16 per cento considera la guarigione per quel che la guarigione tecnicamente e clinicamente è: una “possibilità”. La maggioranza delle risposte si assesta su un più ottimistico: “è un risultato”. Risultato che però si intuisce debba essere comunque raggiunto. Singolare paese in cui al capezzale di ogni degente in clinica od ospedale quasi mai manca un santino di Padre Pio o di Madre Teresa, a loro ci si affida e in loro si confida . Al medico ci si affida ma del medico non ci si fida. Il medico, da controllare e comandare, lo stesso che però esercita e pratica quella medicina che siamo sicuri che tutto possa. Insomma nella nostra testa abbiamo “privatizzato” i vantaggi della medicina e “socializzato” i suoi limiti scientifici e pratici.