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Negazionista di 500 anni fa, aveva i sintomi della peste ma diceva di no. E morì proprio di peste

Negazionista di 500 anni fa, aveva i sintomi della peste ma diceva che non era peste, così ne morì, era un medico del suo tempo. La vicenda risale alla metà degli anni ’50 del ‘500, la vittima è un fiammingo amico e medico di Ogier Ghiselin de Busbeq, ambasciatore dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo (fratello e successore di Carlo V) presso il sultano turco Solimano il Magnifico.

La racconta lo stesso Busbeq nelle sue Lettere turche. Leggendo, si deriva una conferma della convinzione che passano i secoli e i millenni ma gli esseri umani, uomini e donne, non cambiano molto. Protagonista e vittima “il mio più eccellente e fedele compagno durante il mio lungo soggiorno all’estero, il nostro medico, William Quacquelben”.

Costui avevo riscattato (a quei tempi era facile essere sequestrati per estorsione o rapiti dai pirati per finire schiavi) un uomo che (sebbene allora non lo si sapesse) risultava essere colpito dalla peste. Mentre William cercava di curarlo dalla malattia, non essendo sufficientemente attento a se stesso, venne infettato dal veleno della peste.

Su questo punto non era d’accordo con il resto della sua professione, ma dichiarava che, quando dilagava la peste, c’era più panico che pericolo reale; la sua opinione è che in tali periodi vi è una media di diversi tipi di malattie, e che le persone sono così nervose, che pensano che la maggior parte di esse siano la peste, e che di conseguenza ogni sorta di ulcera o brufolo viene considerato come un bollore della peste e trattato di conseguenza.

E così, sebbene fosse già malato di peste, non sospettò mai cosa gli stesse succedendo, finché la malattia, che era stata aggravata dal fatto che la nascondeva, scoppiò con violenti parossismi. Quasi morì tra le mani di coloro che accorsero a sostenerlo, e nemmeno allora poté essere indotto a credere che si trattasse di un attacco di peste.

Quando, il giorno prima di morire, lo mandai a chiedere informazioni, mi rispose che stava meglio e mi chiese di andare da lui, se potevo avere tempo da perdere. Rimasi seduto con lui a lungo e mi raccontò quanto fosse stato gravemente malato. Tutti i suoi sensi, disse, e soprattutto la vista, erano stati così indeboliti che non riusciva a riconoscere nessuno.

Ora era migliore sotto questo aspetto e aveva il comando di tutti loro; continuava soltanto il catarro, che gli impediva di respirare, e se questo si fosse alleviato sarebbe guarito subito. Mentre lo lasciavo, dissi, ho sentito che aveva una specie di ascesso sul seno.

Ammise che era così, e gettando via le coperte me lo fece vedere, dicendo che non c’era niente di male, l’aveva preso dai nodi di un farsetto nuovo che aveva indossato, che era troppo stretto. La sera, secondo le regole di casa mia, due miei servi andarono ad attenderlo per la notte, e si preparavano a cambiargli la camicia.

Quando fu spogliato, notò sul suo corpo una macchia violacea che dissero fosse un morso di pulce, e poi ne vide altre sempre più grandi. “Questi non sono morsi di pulci”, disse, “ma messaggeri che mi dicono che la mia morte è vicina. Approfittiamo dunque di questo avvertimento”.

Da quel momento consacrò tutta la notte alla preghiera, alla pia meditazione e all’ascolto della lettura delle Scritture, finché, allo spuntare del mattino, lasciò questa vita con piena certezza della misericordia di Dio.

 

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