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Omicron 2 non reinfetta chi si è ammalato di Omicron 1, ma anche no

di Daniela Lauria |23 Febbraio 2022 13:06

Omicron 2 non reinfetta chi si è ammalato di Omicron 1, ma anche no

Omicron 2 non reinfetta chi si è ammalato di Omicron 1, ma anche no. I due titoli diametralmente opposti appaiono su Corriere della Sera e Sole 24 Ore. Il primo cita uno studio danese dello Statens Serum Institut di Copenhagen, uno dei più grandi istituti di ricerca della Danimarca, dove la variante gemella di Omicron, detta BA.2 o Omicron 2, ha preso il sopravvento a gennaio.

Il Sole24Ore invece riporta le conclusioni del meeting del gruppo di lavoro dell’Organizzazione della Sanità dedicato al monitoraggio delle varianti di SarsCov2: il Technical Advisory Group on SARS-CoV-2 Virus Evolution. La domanda sorge spontanea: chi ha ragione? Vediamo nel dettaglio cosa dicono gli esperti.

Omicron 2, le indicazioni dell’Oms

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha spiegato che BA.2 (Omicron 2) è “intrinsecamente più trasmissibile di BA.1″ (Omicron 1) ma i dati sembrano confermare che l’infezione da Omicron 1 fornisca “una forte protezione” contro la reinfezione da BA.2.

Ragion per cui gli esperti dell’Oms ritengono che sebbene più trasmissibile, la variante Omicron 2 non dà una malattia più severa e non è in grado di infettare nuovamente chi si è già ammalato con Omicron 1.

Il gruppo ha comunque chiarito che BA.2 merita di essere tenuta sotto stretta sorveglianza: nonostante il calo dei casi di infezioni da SarsCov2 su scala globale continua infatti a guadagnare terreno rispetto a BA.1.

Quanto al rischio di una nuova infezione in chi si è già ammalato con Omicron, fino a oggi sono stati riportati casi sporadici, tuttavia, “i dati iniziali degli studi sulla reinfezione a livello di popolazione suggeriscono che l’infezione da BA.1 fornisce una forte protezione contro la reinfezione da BA.2, almeno per il periodo limitato per il quale i dati sono disponibili”, chiarisce l’Oms.

Infine sull’aggressività della variante Omicron 2: alcuni studi avevano osservato in modelli animali mai esposti in precedenza al virus che la nuova variante potesse causare una forma di malattia più grave rispetto a Omicron 1. I dati di popolazione, per il momento, sembrano smentirlo dice l’Oms.

L’Oms ha preso in considerazione i dati provenienti da Sud Africa, Regno Unito e Danimarca, “dove l’immunità da vaccinazione o infezione naturale è elevata”, precisa l’Organizzazione Mondiale della Sanità. “In questi dati, non è stata segnalata alcuna differenza di gravità tra BA.2 e BA.1”.

Omicron 2, lo studio danese

Nonostante le rassicurazioni dell’Oms però gli studiosi dello Statens Serum Institut in Danimarca hanno pubblicato uno studio che esamina 47 casi infezioni da Omicron 2 verificatesi dopo una infezione con Omicron 1. E’ questo lo studio citato dal Corriere della Sera che, va precisato, è ancora in pre-print e non sottoposto a revisione. 

Gli autori scrivono testualmente: “Forniamo la prova che le reinfezioni di Omicron BA.2 si verificano poco dopo le infezioni da BA.1, ma sono rare”.

Dei 47 casi presi in esame, l’89% non erano vaccinati, il 6% avevano la doppia dose e il 4% aveva avuto una sola dose. I risultati hanno quindi ribadito la maggiore immunità che si ottiene dalla combinazione di vaccinazione + infezione rispetto alla sola immunizzazione da infezione. 

Nessuno dei pazienti è finito in ospedale o è deceduto e i sintomi riscontrati tra la prima e la seconda infezione erano sostanzialmente simili. Anche se la carica virare sembrava essere inferiore nella reinfezione. 

Omicron 2, la reinfezione dopo Omicron 1 è rara

Gli scienziati danesi concludono quindi che la reinfezione con Omicron 2 dopo essere guariti da Omicron 1 è una eventualità possibile, ma rara. La stessa cosa sostenuta dall’Oms che parla appunto di “casi sporadici”. 

Quel che è interessante però dello studio danese è il breve tempo intercorso tra i due contagi. Secondo l’Ecdc, il centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie, per la reinfezione servono più di 60 giorni tra i due contagi. 

Il minor tempo riscontrato nei 47 casi danesi potrebbe indurre a rivalutare la tempistica. 

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