Test sierologico non è cura né passaporto. Tutti lo vogliono, ma se è di Stato allora no Test sierologico non è cura né passaporto. Tutti lo vogliono, ma se è di Stato allora no

Test sierologico non è cura né passaporto. Tutti lo vogliono, ma se è di Stato allora no

ROMA – Test sierologico non è cura né passaporto. Come cura, che c’entra parlare di cura a proposito di un test?

Andare nelle anticamere linde e sanitarizzate, nelle file ordinate e organizzate dei laboratori privati che praticano ed effettuano il test, andare lì e sentire dalla viva voce dei cittadini clienti perché sono lì.

Domanda tipo: è un test specifico? Come esistessero test universali. Ma queste ingenuità sono comprensibili e accettabili.

Segue domanda: se va bene il test, allora la malattia l’ho passata? E qui l’interrogante e l’interrogativo fanno scivolare la percezione del test come una sorta di surrogato di vaccino in attesa di quello vero.

Segue ancora domanda: se va bene il test, allora posso esibire il certificato per andare a lavorare, per andare in vacanza, per andare ovunque? Ecco, in tanti a fare il test per avere come un…certificato.

Sarà un equivoco, sarà un’illusione, sarà un fraintendimento di massa, sarà un frullato di illusione ed equivoco, fatto sta che intorno al test sierologico è da settimane in atto una commedia in più atti, non priva di vasto pubblico pagante.

Test sierologico serve soprattutto ai medici e poco o nulla ai cittadini. Questa nessuno l’ha spiegata bene o saputa spiegare e nessuno poi l’ha voluta sentire e capire. Test sierologico serve a mappare, vedere dove è arrivata l’epidemia.

Facciamo sia CSI, la fiction sulla polizia scientifica: un tappeto è la popolazione italiana, ci sono macchie tracce di sangue sul tappeto? A occhio nudo non si vedono. Gli agenti-scienziato di CSI spargono sul tappeto reagenti chimici che fanno vedere dove il sangue è caduto. Bene, il test sierologico è il reagente, la popolazione italiana è il tappeto, il sangue è coronavirus. 

Con test sierologico medici epidemiologici sanno, così come agenti-scienziati CSI. Ma non è che trovare il sangue faccia risuscitare la vittima o di per sé mandi in galera l’assassino. Sapere, vedere dove è il sangue-contagio rende solo (non è poco) possibili le indagini-prevenzione.

Eppure c’è stata corsa al test sierologico come fosse…una mezza medicina. Corsa ora frenata dall’apprendere che in caso di test positivo agli anticorpi invece di uscire immune in strada, occorre sottoporsi a tampone.

Infatti se hai anticorpi potresti essere asintomatico e contagiato, oppure appena contagiato. O anche, più probabilmente, toccato da virus tempo addietro senza sintomi e conseguenze. Ma per sapere cosa sei, tampone. E, attendendo tampone che spesso ritarda, quarantena. Estesa a conviventi.

Altra circostanza sta frenando almeno un po’ la corsa al test sierologico. O meglio ad un test sierologico, quello di Stato. Se lo fa lo Stato il test, di risulta per il cittadino il test diventa sospetto, qualcosa di cui diffidare e da cui guardarsi. Infatti una gran percentuale dei contattati dalla Croce Rossa per il test, contattati come da campionatura Istat, esita, prende tempo o dice no.

 

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