LONDRA – Un vaccino contro il coronavirus. L’annuncio arriva da Londra e riguarda il via libera da giovedì 23 aprile ai primi test sperimentali sull’uomo di un prototipo messo a punto nell’ambito di un progetto di ricerca sostenuto dal governo del Regno Unito e attualmente allo studio da parte di un’équipe di ricercatori dell’Università di Oxford in collaborazione con un’azienda italiana, l’Advent-Irbm di Pomezia.
Secondo il ministro britannico della Sanità britannico, Matt Hancock, che ha dato lo start all’iniziativa durante la conferenza stampa di giornata sull’emergenza Covid-19 a Downing Street, si tratta di una sfida ai limiti del possibile.
“In tempi normali ci sarebbero voluti anni” per arrivare alla sperimentazione umana, ha notato Hancock. Ma questi, ha lasciato intendere, non sono tempi normali.
E il governo di Boris Johnson, reduce in prima persona dal contagio e da un ricovero in terapia intensiva, è pronto a cercare di rendere più spedite le procedure e a mettere sul piatto tutte le risorse pubbliche necessarie per aiutare il team di Oxford, come altri gruppi di ricerca impegnati in progetti analoghi nel mondo accademico britannico.
Il risultato finale, ha chiarito il ministro, non è esattamente dietro l’angolo. Ma l’obiettivo resta quello – già reso noto nei giorni scorsi – di completare la prima fase di sperimentazione clinica sprint entro settembre, nella speranza di poter mettere a disposizione della generalità “dei britannici un vaccino che funzioni in sicurezza nei tempi più brevi umanamente possibili”.
In sostanza il governo Johnson ha concentrato finanziamenti per 42,5 milioni di sterline (circa 50 milioni di euro) su due progetti considerati più promettenti: quello nel Jenner Institute dell’ateneo di Oxford, sotto la guida della professoressa Sarah Gilbert; e quello diretto dal professor Robin Shattock all’Imperial College di Londra.
In pole position al momento è proprio il progetto oxfordiano che da giovedì passerà alla fase dei trials fra i primi pazienti umani: di fatto cavie “volontarie”.
Il gruppo del Jenner Institute, entrato in azione a gennaio, subito dopo che il codice genetico (o blueprint) del coronavirus era divenuto disponibile, sta tentando di utilizzare una piccola sezione di questo codice, ‘trapiantandola’ in un virus innocuo per poi provare a stimolare il corpo umano a sviluppare una forma d’immunità al Covid-19.
Il programma prevede di eseguire i test su 550 volontari sani entro metà maggio, per passare in caso di successo a una platea più affidabile di alcune migliaia di volontari da sottoporre a screening nei mesi successivi.
Una scommessa che non coinvolge ancora l’Italia come Paese di sperimentazione clinica sulle persone. Ma nel quale l’Advent-Irbm di Pomezia, forte della sua expertise, è partner principale. E i cui protocolli sono stati definiti in un report da presentare all’Agenzia del Farmaco, al governo di Roma e ad altri governi, come ha spiegato all’ANSA l’amministratore delegato dell’azienda laziale, Pietro Di Lorenzo.
Se tutto andrà bene, da settembre il prototipo di vaccino potrebbe essere quindi disponibile per un ipotetico uso compassionevole su alcune categorie di pazienti gravi. Mentre per un uso su larga scala ci vorrà parecchio più tempo.
“In Inghilterra si è deciso di passare direttamente alla fase di sperimentazione clinica sull’uomo – ha detto Di Lorenzo nei giorni scorsi – ritenendo, sia da parte della Irbm sia della Oxford University, sufficientemente testata la non tossicità e l’efficacia del vaccino sulla base dei risultati di laboratorio”. Risultati “che sono stati particolarmente buoni”. (Fonte: Ansa)