ROMA – Che sia un terremoto, un uragano o uno tsunami, i disastri naturali mettono il cuore a dura prova. Anche a distanza di anni infatti, chi si trova ad affrontarli ha il doppio delle possibilità di avere un’insufficienza cardiaca. Lo dimostra uno studio sulle vittime dello Tsunami del 2011 in Giappone, presentato al Congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc) in corso a Roma.
Immediatamente dopo lo tsunami che è costato la vita a oltre 15mila persone e ha raso al suolo 130mila abitazioni, era stato evidenziato un incremento dei casi di sindrome coronarica acuta ed eventi acuti cerebrovascolari. “Si trattava – spiega Leonardo Bolognese, Direttore Cardiologia ospedale di Arezzo – di studi che riferivano dei dati episodici mentre la nuova ricerca giapponese si è posta l’obiettivo di determinare gli effetti a lungo termine del disastro mettendo a confronto dati clinici degli abitanti di aree più vicine all’epicentro del disastro in un periodo di 2-4 anni”.
Ricercatori della Iwate Medical University di Morioka e dell’Iwate Ofunato Hospital hanno infatti valutato la severità dei danni in ogni municipio colpito. Hanno quindi confrontato i nuovi casi di insufficienza cardiaca verificatisi nella popolazione nel 2011 e nel triennio successivo 2012-2014 (che sono stati complessivamente 2.059) con quelli attesi (calcolati sulla base dei due anni precedenti al disastro).
L’incidenza nelle aree più colpite era 1,66 volte più elevata nell’anno dello tsunami e rimaneva alta nei due anni successivi, mentre nelle zone meno colpite non si evidenziavano differenze significative. I casi, inoltre, erano direttamente proporzionali alla percentuale di popolazione evacuata. Stress mentale e paura causano, infatti, una anomala attivazione del sistema nervoso simpatico che determina cascate ormonali che interferiscono con pressione arteriosa, aumento della coagulazione e attività delle piastrine, fattori che possono ‘scatenare’ eventi cerebrovascolari.